Poesie/Inni religiosi

“Cos’è la poesia?”

È complicato rispondere, è come chiedersi cos’è l’amore, cos’è un gusto o un colore? Si possono dare mille definizioni ma rimarrà sempre qualcosa di sottaciuto.
Ognuno risponderà secondo la sua idea e invece la poesia è un concetto universale comprensibile a tutti, e in questo sta proprio la sua grandezza, la sua nobiltà. E’ l’arte più semplice del mondo: per esprimerla basta una profonda sensibilità umana e uno sguardo attento sul mondo, un foglio di carta e una penna.
Una buona musica quando arriva al massimo della sua bellezza si dice “Sembra una poesia!”; la poesia parla a nome dei popoli, di libertà di giustizia con coraggio e passione.
La poesia è in grado di farci intuire qualcosa di essenziale sul mistero del mondo e della nostra vita ed è portatrice di molti messaggi contemporaneamente; e le metafore sono una corrispondenza tra le cose del mondo.
Antonia Oria Ducoli

“La poesia può muovere senza sforzo il cielo e la terra, avvicina gli uomini a Dio.”
Tsurayuki Kino (poeta del X sec.)



“La poesia è quando un’emozione ha trovato il
suo pensiero e
il pensiero ha trovato le parole”.
Robert Lee Frost.

POESIE DI PARTICOLARE SIGNIFICATO RELIGIOSO
Attraverso di esse riusciamo a trasmettere i nostri sentimenti, emozioni, stati d’animo, desideri e preghiere. 

“Il Cantico delle Creature”, conosciuto anche come “Il cantico di Frate sole e Sorella Luna” è la prima poesia scritta in italiano.
Il suo autore è Francesco d’Assisi che l’ha composta nel 1226.
La poesia è una lode a Dio, alla vita e alla natura che viene vista in tutta la sua bellezza e complessità.
Testo tradotto in italiano:
Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono la lode, la gloria, l’onore ed ogni benedizione.
A te solo Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di pronunciare il tuo nome.
Tu sia lodato, mio Signore, insieme a tutte le creature specialmente il fratello sole, il quale è la luce del giorno, e tu attraverso di lui ci illumini.
Ed esso è bello e raggiante con un grande splendore: simboleggia te, Altissimo.
Tu sia lodato, o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai formate, chiare preziose e belle.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello vento,e per l’aria e per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno e ogni tempo
tramite il quale dai sostentamento alle creature.
Tu sia lodato, mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e pura.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte. E’ bello, giocondo, robusto e forte.
Tu sia lodato, mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento, ci mantiene e produce diversi frutti con fiori colorati ed erba.
Tu sia lodato, mio Signore, per quelli che perdonano in nome del tuo amore e sopportano malattie e sofferenze.
Beati quelli che le sopporteranno in pace, perchè saranno incoronati.
Tu sia lodato, mio Signore, per la nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scappare:
guai a quelli che moriranno mentre sono in situazione di peccato mortale.
Beati quelli che la troveranno mentre stanno rispettando le tue volontà,
perché la seconda morte, non farà loro male.
Lodate e benedicete il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà.

La mé céza
Quan che sènte 
nel cör vergót

che trèma e zéla, me fó du pass e rìe a la cèza
en fónt al curidùr de Borgo Trènt.
L’è öda.
Postàda al tabernàcol,
gh’è ‘na stèla róssa come ‘n fòc empìs,
che la sbarbèla falìe e la me dis:
-Ghét frèt, cuìna? ma scàldet che!
-Set sula? Trèmet? sta chè ‘n ciapèl ensèma a me!
Me ghè dò scult
e ardì chel che sücét
en angilì el m’emprèsta la camìza,
che la mè scalda compagn de ‘na fiamàda, i öcc de la Madóna
j mè regala
en tuchilì de ciél per la zurnàda.
Me tróe col cör che canta,
sensa piö frèt gna póra, mè ve le ale ai pè
e turne ‘ndré ‘n dèl bórg sö ‘na caròssa dòra ciapàda a Cristo Re.

Nella pace soave di un mattino stava Maria fanciulla, al limitare della sua casa. Dal giardino
sotto l’azzurro, c’era il gran cantare

dell’usignolo. Da una siepe scura ecco sorgere l’Angelo di Dio
che a lei si avvicinò. Senza paura, udì Maria nell’aria un sussurrìo:

“Ave, piena di grazia, ho un gran messaggio
per Te: da Dio sei stata scelta, o Maria……”
Lei, pensosa, ascoltò. Poi, con coraggio,
chinò il bel capo e rispose: “Così sia.”

Quindi sentiva in sé l’alto fermento
della vita nascente. Era già via
la sua fanciullezza: era l’avvento
del gaudio e del dolore per Maria..

Maria e Giuseppe giunsero a Betlemme,
lei affaticata dal suo dolce peso;
l’asino procedeva lemme lemme,
portando quell’evento tanto atteso.

“Vieni, Maria, vedi: qui c’è un ostello:
è tardi, questo è meglio di niente;.
alla greppia può stare l’asinello,
c’è già un bue. Hai visto quanta gente ?

Piena è Betlemme per il censimento.
Non c’è posto per noi,. La paglia è bianca…,
potresti avere il Figlio ogni momento”.
Maria annuì: “Mi sento proprio stanca”

Giuseppe benedisse l’esistenza
di un abbeveratoio: l’acqua c’era,
Intanto aumentava la frequenza
delle doglie del parto. L’atmosfera

in quel povero luogo era splendente.
Brillava tutto intorno. Lietamente
arrivaron pastori ed altra gente,
avvisati da un angelo.Quietamente

ammiraron stupiti quel bambino,
stettero adoranti, porsero doni;
era per loro quel sorriso divino
che faceva sentire tutti buoni.

Intanto un coro d’angeli si è alzato
nell’aria in quella notte benedetta.
Maria e Giuseppe con Gesù neonato
son la Sacra Famiglia più perfetta.

È Natale ogni volta
che sorridi a un fratello e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta
che rimani in silenzio per ascoltare l’altro.
È Natale ogni volta
che non accetti quei principi che relegano gli oppressi
ai margini della società.
È Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
È Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.

Penso a un convento antico, medievale,
quando Francesco con un fraticello fece
il primo Presepe per Natale: 

la capanna col bue e l’asinello,
Maria e Giuseppe pieni di emozione,
il piccolo Gesù, bello, tra loro,
la loro meraviglia e adorazione,
mentre nel cielo si cantava in coro.

Vedo il Natale che ritorna ancora
dopo millenni, con malinconia.
E’ la festa dei doni.
Come allora si fa il Presepe con Gesù e Maria:
però purtroppo quella devozione,
come aveva Francesco non rimane.

Soltanto di far festa le persone sono ansiose.
Intanto le campane ricordano ai Cristiani 
questo Evento che fu l’amor di Dio per tutti noi.

Se riflettiamo avremo il cuor contento.
Gesù Bambino, aiutaci, se vuoi!

Sono ormai spoglie le piante in giardino,
solo i pini verdeggiali sullo sfondo;
non c’è la neve, ma il Natale è vicino,
è in riverente attesa tutto il mondo.

Da due millenni ce ne ricordiamo:
Gesù Bambino arriva con il gelo,
come i pastori tutti lo adoriamo,
mentre la stella ci rischiara il cielo.

San Luca nel Vangelo ce lo dice:
anche gli angeli gli cantavan lodi
Chi ha fede in Lui sarà sempre felice.
L’amore di Dio Padre, in molti modi,

viene rivolto a noi, ma soprattutto
mandandoci suo Figlio come agnello,
a riscattare questo mondo brutto
che con l’amore suo diventa bello.

C’era un Presepe un tempo in ogni casa,
non si pensava ai doni, ma all’evento;
oggi la nostra vita viene invasa

da tante vanità: qui mi accontento di
dire a tutti quanti Buon Natale
e in senso antico questo augurio vale.

Lenta nel cielo appare la cometa
Vedon la stella i Magi nell’Oriente,
sanno cos’è quel segno e la lor meta
si trova là dove Gesù è nascente.

Con gli occhi volti in alto, sul cammello
viaggian per giorni lunghi, van lontano,
passan deserto e monti e un fiumicello li
bagna finalmente: ecco il Giordano.

Gerusalemme, splendida e solare, li
accoglie col suo re che vuole sapere dov’è
questo bambino da adorare. Teme gli
insidii il trono ed il potere.

Ma i Magi che rivedono la stella
trovali Betlemme, trovan la capanna
con la* Sacra Famiglia, così bella, e
gli angeli che cantano l’osanna.

Si inginocchiano i Re rendendo omaggio
a quel Bimbo divino sorridente; porgono
i loro doni. Poi nel Viaggio tornan per
altra via, per altra gente.

Ti vedo molto triste e addolorata,
Anna, tu sempre allegra e sorridente. Che cosa è capitato ? Dove sei stata ?
Ero a far legna, ma ho visto tante gente

che spingeva imprecante ed insultante
un uomo in mezzo a loro tra i soldati, sotto una croce, pesto e sanguinante,
su per il monte dove i condannati

vanno a morire. Però da vicino
quando gli ho visto il volto, son restata inebetita ! Questo poverino
lo seguivamo tutti. Ero stata

estasiata e ammirata al suo parlare
sol di pace, di concordia e d’amore;
ci esortava le offese a perdonare,
a viver da fratelli in Dio Signore …

Io non capisco: l’hanno martoriato
come un ladrone. Poi si è fatto nero
Il sole, il cielo, il monte ed il creato
con un rombo di tuono. Era Dio vero!

Stabat Mater …e Tu eri lì… e tacevi, Madre.
Con sforzo immane,
inghiottivi le lacrime roventi,
per non aggiungere strazio al Suo Dolore.
Contenevi l’«Urlo» che ti straziava il petto
alla vista del Corpo martoriato.
La “profetica spada ” ti trapassava il cuore
come la lancia che apriva il Suo Costato.
Sopportasti lo scherno, la bestemmia,
la viltà, l’abbandono, il tradimento.
E quando, a gran voce, chiese al Padre
il «perché – perché» dell’abbandono;
Tu eri lì… E prima del «Consummatum»
“passiva”, totalmente affidata,
come al «dì dell’ Annuncio» rinnovasti il tuo «SI»
che ti rendeva «Madre» d’ogni generazione.
Poi: la caligine e i sussulti della terra.
Quando, deposto, ti fu posto in grembo
chiamandolo con i più dolci nomi,
lo cullasti, come già un dì, a Betlemme.
Poi, lo stridore del «masso» rotolato,
il buio del Sepolcro, ed il silenzio.
E in preghiera, cominciò l’Attesa:
la Speranza, sorretta solo dalla “Grande Fede “,
nell’“Alba” luminosa, del “Terzo giorno”.
Con quali parole potrò mai narrare
quanto ti è costato tanto Amore?
Me ne starò in silenzio a contemplare,
ad aspettare, con Te, il “Nuovo Giorno”
che muta in gioia, il pianto;
e, vestito di «Luce»,
sul – masso travolto – appare:
l’Angelo dell’ALLELUIA!

(Venerdì Santo)
Siamo di nuovo qui, Signore, davanti a Te, noi: “i ciechi, i sordi, gli impostori “per ripeterti le bugie di ogni giorno: “Ti adoro e ti amo con tutto il cuore”. Ma… è vero? Tremo al pensiero di sentire una “Voce”, dentro, che mi dice: “Ma chi vuoi prendere in giro?”.
Tu passi, e parli, e bussi alla porta sbarrata del nostro cuore; non ti vediamo, non sentiamo, non apriamo. E sempre ripetiamo: “Ti adoro e ti amo”. A volte ci illudiamo di cercarti, mandiamo i nostri sospiri verso un deh vuoto e non vediamo che sei in mezzo a noi, non ti cerchiamo infondo al nostro cuore.
Il “tuonare” del martello che squarcia il cielo, non trova eco alcuna nei nostri cuori; alla Corona non manca alcuna spina e il sangue del tuo Co¬stato è come un mare.
Trema la terra al tuo grido angosciato che pone una domanda sconsolata: “Più di quanto ho fatto, che posso fare?”.
Invano, per noi, ha cantato il “gallo”. Assomigliamo di più a quel soldato romano che, pensieroso, si aggira nei pressi della Croce chie¬dendosi: “Oh pazzo, chi te l’ha fatto fare”; che al Centurione che afferma: “Veramente costui era Figlio di Dio “! Sì, forse a volte abbiamo deside¬rato di venire a schiodarti da quella Croce; ma dopo, ostinati col nostro peccato, ti costringiamo a ritornarci sopra, perché il tuo Amore per l’uomo è smisurato e la tua Grazia supera il peccato. E in tutto il mondo, milioni di volte al giorno, Tu sei pronto a farti sacrificare e ci scusi davanti a tuo Padre perché noi “Non sappiamo quello che facciamo”.
Signore, ti preghiamo, solo per un momento, fa che sia sincera la nostra voce che grida a te dal fondo di questa valle: «Oh “Agnello sgozzato”, Cristo inchiodato: alla “farina” e al “mosto” tuo Corpo e tuo Sangue – degnati di unire i nostri “cuori malati” perché fatti “Ostia” insieme a Te, possiamo essere graditi a tuo Padre e come “figli ” riconosciuti in Te.
Fa che sentiamo la “pietra” rotolare e la “tua Pasqua” con il suo fulgore i “nostri sepolcri” venga ad irradiare. E diremo allora finalmente: “Ti adoro con tutto il cuore”… sinceramente

“O CROCE DI NOSTRA SALVEZZA,
albero tanto glorioso,
un altro non v’è nella selva, di rami e di fronde a te uguale.
Compiuti trent’anni è conclusa la vita mortale,
il Signore offriva se stesso alla morte per noi, Redentore del mondo;
in croce è innalzato l’Agnello e viene immolato per noi”.

La Croce Gloriosa del Signore Risorto è l’albero della mia salvezza;
di esso mi nutro, di esso mi diletto, nelle sue radici cresco,
nei suoi rami mi distendo.

La sua rugiada mi rallegra, la sua brezza mi feconda, alla sua ombra ho posto la mia tenda.

Nella fame l’alimento, nella sete la fontana, nella nudità il mio vestimento.

Angusto sentiero, mia strada stretta, scala di Giacobbe, letto d’amore dove ci ha sposato il Signore.

Nel timore la difesa, nell’inciampo il sostegno, nella vittoria la corona, nella lotta tu sei il premio.

Albero di vita eterna, pilastro dell’universo, ossatura della terra,
la tua cima tocca il cielo e nelle tue braccia aperte brilla l’amore di Dio.

( Una delle donne che seguivano Gesù e gli Apostoli per servirli, racconta la sua esperienza, dopo la morte di Gesù)
Dopo du dé che i l’era sepelìt,
ma diss na mé surèla: «sent, Maria:
‘ndarèss sö la so tomba… gh’et sintìt?
Gh’è le guardie, se no i la porta via!»
“Va aànti te coi fiùr, che po’ mé rìe…”
Quando sere zamò a meza strada,
la vède turnà ‘ndré. “Maria, vignìe
a dit che l’è inùtil ! So riada
coi fiùr fina a la so bela preda…
ma gh’era piö nissü! Sul na ruéda
töta fìurida, sulche ‘l vent…
ma so sintida strana ‘n den mument!
Le guardie i è sparide. Se vergü
i l’ha rubàt, prope al sarèss mìa…
Mè g’ho ‘ncuntrat gnè vist prope nissü
E so curìda a salti per la via…”
Ga rièsse mìa a capì chesti laùr:
adess i diss che l’è amò ché ‘I Signùr!!
Difati, dopo na settimana
Sente ciamà Tumass, an so cumpagn:
“S-ciecc: g’ho prope vist ier sera ‘l nost Signor,
l’era amò vif e bel pöi tant del sul.
Al ma dit: “Toccami qui, Tommaso:
mi riconosci, adesso?” “Se, Signor,
ta vede bé e ta set propé te!»
Po’ ma so fat coragio e l’ho pregat:
«Adess che ta set vif, sa fernet ché?,»
I m’ha ‘mprumitìt che prest al turnarà
e adess nualter somm töcc ché a spetà…
Beh, me va disarò che so sincera:
Gesù, ‘l Signùr al g’ha vinsìt la mort
E l’è prope vera !!

Sbuffi di vento gonfiano la siepe, fanno volare in alto le sementi, spazzano il prato, frugano le crepe, risvegliano lucertole dormienti.

L’Aprile amico viene cinguettante con usignolo, tortora e fringuello
a portarci la Pasqua ed è esultante la natura fiorita. Com’è bello,

dopo quei giorni tristi di Passione, saper Cristo risorto e trionfante ! Trattare con amore le persone
in questa primavera traboccante

di bimbi e trilli, margherite e viole, di rondini nei nidi, innamorate,
di visi lieti dove ha specchio il sole, d’occhi lucenti come le vetrate.

Era splendente il cielo quel mattino,
quando si ritrovaron tutti insieme i
Discepoli con Gesù vicino.

Ricco di ulivi ombrosi nella brezza
verso Betania verdeggiava il monte,
l’aria donava loro una carezza.

Si erano chiesti perché mai lassù,
forse un nuovo miracolo importante,
temevan di non rivederlo più.

Gesù li avvolse tutti col calore
del suo sguardo divino, alzò la mano,
li benedisse e il gesto era d’amore.

Quindi salì nel cielo dolcemente,
mentre stavano intenti ad adorarlo.
Dolcemente sparì l’Onnipotente.

C’era l’effigie di un Gesù d’amore
sul cassettone, nella casa antica;
aveva il manto rosso ed il suo cuore
splendeva, offerto. In una posa amica,

aveva braccia aperte ed accoglienti,
sembrava dir: ” ti posso confortare…”,
lo sguardo dolce, gli occhi sorridenti.
Mi alzavo sulle punte per guardare

più da vicino. Mi arrivava accanto
qualcuno che impediva il mio tentare:
“È inutile che tocchi! Tu soltanto
devi volerGli bene e poi pregare,

perché ti aiuti a crescere più buona,
beneducata, ubbidiente e sincera.
Questo chiede Gesù ad ogni persona.
Ti riempirà d’amor la vita intera! “

Ci stiamo togliendo il diritto alla vita.
dov’è il cielo… la terra…?
rimaniamo solo noi
ormai
SOLI
senza il cielo, senza la terra
che facciamo noi
qui…
soli.
Abbiamo consumato tutto!
e ora aspettiamo la fine
CORRENDO
incontro alla morte.

        19- FESTA DELLA DONNA di Ida Ambrosiani

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