Santi
La canonizzazione è la dichiarazione ufficiale della santità di una persona defunta. Emettendo questa dichiarazione, si proclama che quella persona si trova con certezza in Paradiso e in più, rispetto alla semplice beatificazione, se ne permette la venerazione come santo nella chiesa universale.
Nella Chiesa cattolica, la canonizzazione avviene al termine di un’apposita procedura, che dura in genere molti anni, chiamata processo di canonizzazione.
Negli ultimi decenni, è richiesto, per ottenere la canonizzazione, che vengano riconosciuti dei miracoli attribuiti all’intercessione della persona oggetto del processo. La decisione finale sulla canonizzazione è in ogni caso riservata al Papa, attraverso un atto pontificio.
Nel corso della storia il termine Santi ha avuto diversi significati.
Nei primi decenni del cristianesimo, santi erano tutti i fedeli cristiani, anche se esisteva una distinzione con i “veri santi”, in grado di operare miracoli.
Dal:
I-V secolo
Nei primi cinque secoli di vita delle comunità cristiane, non si parla propriamente di santi, ma più di martiri: la venerazione dei defunti si focalizza soprattutto su quelle persone che, pur di non rinnegare il Signore e il suo messaggio rivelatore, preferirono immolare la propria vita come testimonianza di fede.
VI-XI secolo
Con l’inizio del Medio Evo vede la luce una forma embrionale di processo di canonizzazione, operata dai vescovi che autorizzano la venerazione dopo una sommaria inchiesta e la redazione della Vita del santo, ovvero una sorta di biografia agiografica contenente i suoi miracoli.
Si parla, in questo periodo, di “canonizzazione vescovile”. La figura del santo comincia a delinearsi in maniera più indipendente e a differenziarsi da quella dei martiri e dei confessori dei primi secoli.
Il concetto di santità cominciò ad assomigliare a quello che si usa oggi: persone che hanno professato la loro fede nel corso di tutta la loro vita e che hanno compiuti degli atti miracolosi.
XII-XVI secolo
Nel XII secolo, papa Alessandro III rivendicò a sé il potere di riconoscere una persona come santo, al fine di mantenere un’uniformità di culto in tutta la Cristianità, inserendo definitivamente i processi di canonizzazione.
XVII-XIX secolo
Numerosi cambiamenti ci furono con gli interventi di Sisto V che creò la Congregazione dei riti e di Urbano VIII, che arricchì ed articolò la procedura. Nasce la distinzione netta tra beatificazione e canonizzazione, la riserva papale viene ulteriormente rafforzata, con conseguente divieto di venerazione di defunti che non siano stati riconosciuti come santi.
XX secolo
Tutta la normativa, frutto di elaborazioni millenarie, rimase in vigore fino alla codificazione del 1917. L’eccessivo positivismo della prima codificazione, che aveva portato all’esclusione delle indagini sinodali e vescovili e allungato e complicato le procedure, indusse Paolo VI a riformare la canonizzazione, semplificando il processo in due fasi, un’istruttoria a livello locale, ed una dibattimentale riservata all’ambiente romano.
I Dottori della Chiesa cattolica sono uomini e donne illustri per santità di vita, ma soprattutto per la loro eminente dottrina nelle cose sacre testimoniata specialmente negli scritti. La sapienza che si riconosce ai Dottori ha le sue radici nella rivelazione biblica, dove non è mai separata da una povertà di spirito: la sapienza viene da Dio e non dall’uomo. La conoscenza dei misteri della fede che i Dottori testimoniano è un dono che risponde alla loro passione per la ricerca, resa credibile dalla Santità della loro vita.
Questo titolo è loro conferito con decreto del papa o del concilio ecumenico.
Il titolo di Dottore dalla chiesa è concesso o dal Papa o da un Concilio. Questo onore è attribuito raramente: attualmente si contano 36 nomi che coprono circa duemila anni di teologia; viene dato solo postumo e dopo che c’è già stato un processo di canonizzazione.
ELENCO DEI DOTTORI DELLA CHIESA
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ELENCO DEI SANTI E BEATI BRESCIANI PUBBLICATI
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Questo lo schieramento odierno, ovviamente provvisorio, in quanto la geografia celeste muta spesso e capita che un Servo di Dio venga promosso Venerabile e che il Venerabile salga sul gradino del Beato e così via.
BREVE BIOGRAFIA DI SANTI E BEATI
S. AFRA DI BRESCIA, martire.
Brescia, 120 circa.
Ricorrenza: 4 maggio
Secondo la leggenda convertita dai ss. Faustino e Giovita fu battezzata dal Vescovo S. Apollonio.
Una Santa martire di cui si sa poco; la “passio”, di autore ignoto, inserita negli atti dei santi Faustino e Giovita, non fornisce nessuna indicazione precisa riguardo alla sua identità; in qualche codice viene descritta come moglie del prefetto Italico, nobile bresciano, che secondo la ‘passio’ avrebbe recato il simulacro di Saturno nell’anfiteatro, perché ai suoi piedi un gruppo di cristiani fossero sbranati dalle belve feroci.
La “Passio” è inserita in un racconto molto conosciuto nell’VIII e IX sec.; Afra era presente quando Faustino e Giovita furono condotti nell’anfiteatro di Brescia per il martirio; ella tracciando un segno di croce, avrebbe fermato la furia di cinque tori che docilmente si accosciarono ai piedi dei santi. Tale prodigio portò diverse migliaia di spettatori presenti, ad abbracciare la fede cristiana. Afra venne denunciata all’imperatore Adriano (117-138) come cristiana, e dopo la decapitazione di Faustino e Giovita, egli la fece torturare e condannare a morte, subendo il martirio insieme alla schiava Samaritana.
Dal libro di PAOLO GUERRINI – PAGINE SPARSE
Le spoglie di S. Afra sepolte assieme a quelle di molti altri martiri, incominciarono ad avere un culto peculiare quando furono tolte dallo stesso cimitero le spoglie dei santi Faustino e Giovita nel luogo in cui il vescovo S. Faustino (un altro Santo col nome Faustino) costruirà la chiesa di S. Faustino ad Sanguinem. La prova del culto si trova in una rozza lapide scolpita nel 1284 ed inserita in un pilone della chiesa inferiore. La chiesa dedicata ai Santi Faustino e Giovita (S. Faustino ad Sanguinem), costruita sul luogo del martirio, dopo la traslazione dei corpi dei due martiri nell’806, fu dedicata a S. Afra, oggi dedicata a Sant’Angela Merici e situata in via Francesco Crispi a Brescia.
Nel 1296 il prevosto Savoldo presentò al vescovo e al comune una supplica per ottenere ogni anno la celebrazione solenne della festa di S. Afra. Il podestà Bonifacio de’ Samaritani accolse la supplica.
Nel 1884 il corpo venne riposto in un’arca di pietra.
Nel 1603, terminata la chiesa, venne riposta in una urna nera (secondo altare sinistra) urna con scolpite le parole: HIC REQIESCIT CORPUS B. APHRAE
Emblema: Afra è raffigurata, con la palma e la lama seghettata simboli del suo martirio, a volte anche con il modello della città.
S. AGNESE, vergine e martire. Laica
Nata a Roma, fine sec. III, o inizio IV°.
La data della morte non è certa, qualcuno la colloca tra il 249 e il 251, secondo altri nel 304.
Ricorrenza: 21 gennaio
Agnese nacque da genitori romani e cristiani. Le fonti testimoniano che ella aveva deciso di consacrare la sua vita a Dio donandogli la sua verginità; quando era ancora dodicenne, scoppiò una persecuzione ed ella fu denunciata come cristiana, dal figlio del Prefetto di Roma, che invaghitosi di lei voleva sposarla, ma respinto, fece in modo che Agnese subisse il martirio. Condannata a morte, non si sa se per decapitazione, come asseriscono Ambrogio e Prudenzio, o nel fuoco come narra, un’incisione sulla sua lastra tombale composta da papa Damaso: “Agnese affrontò il rogo con coraggio e con l’atto di coprirsi il corpo nudo con i capelli”
Varie le leggende sugli eventi riguardanti la sua morte: fu esposta nuda in un luogo per pubbliche prostitute, oggi cripta di Sant’Agnese in piazza Navona. Un uomo che cercò di avvicinarla, cadde morto prima di poterla sfiorare e altrettanto miracolosamente risorse per intercessione della santa. Gettata nel fuoco, questo si estinse per le sue orazioni e i capelli le crebbero al punto di ricoprire il corpo nudo, fu allora colpita con colpo di spada alla gola, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli, senza mai perdere la propria verginità.
La crudeltà fu tanto più detestabile in quanto non si risparmiò neppure la sa tenera età. Dopo la sua morte, il corpo fu sepolto nelle catacombe lungo la via Nomentana, oggi conosciute con il suo nome. Nel secolo successivo alla sua morte, sul luogo della sua sepoltura, Costantina, figlia di Costantino, volle costruire una chiesa per onorarla.
Patronata: dei giardinieri, protettrice di vergini e di fidanzate in quanto scelse Cristo come suo fidanzato.
Emblema: Giglio, Palma può presentare il corpo coperto da lunghe chiome, spesso è raffigurata con un agnello, simbolo del candore e del sacrificio.
S. AGOSTINO D’IPPONA (Aurelio Agostino).
Filosofo, teologo latino e Vescovo di Ippona detto Doctor Gratiae (“Dottore della Grazia”).
Tagaste oggi Souk Ahras (Algeria), 354– Ippona oggi Annaba (Algeria), 430)
Ricorrenza: 28 agosto
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Bonifacio VIII nel 1298.
Sant’Agostino nasce da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Convertito alla fede cattolica, dopo una adolescenza inquieta nei principi e nei costumi, l’incontro nel 387 a Milano con Sant’Ambrogio, da cui fu battezzato, lo riportò alla fede. Tornato in Africa, condusse con alcuni amici vita ascetica, dedita a Dio e allo studio delle Scritture. Fu ordinato sacerdote e vescovo di Ippona, fu per trentaquattro anni maestro del suo gregge, che istruì con sermoni e numerosi scritti, con i quali combatté anche strenuamente contro gli errori del suo tempo (le eresie) a cui dedica parte della sua vita. Per il suo pensiero, racchiuso in testi come «Confessioni» o «Città di Dio», ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa. A lui si deve la prima sintesi tra Filosofia e Fede che dimostra come sia possibile un accordo tra città terrena e città celeste. In un mondo come quello attuale, in cui la città terrena sembra essere in contrasto con quella celeste, il suo messaggio è ancora un monito e una speranza per l’umanità. Non c’è area della filosofia e della teologia in cui il suo pensiero non abbia lasciato il segno, non soltanto attraverso tutta l’età medioevale ma anche quella moderna.
Secondo Antonio Livi è stato «il massimo esponente della teologia e della filosofia cristiana latina del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell’umanità in assoluto».
Emblema: Bastone pastorale, Libro, Cuore di fuoco, Abiti vescovili.
S. ALBERTO MAGNO, vescovo detto Doctor Universalis.
Lauingen (Germania), 1193-1206 circa – Colonia, 1280
Ricorrenza: 15 novembre
Fu proclamato Dottore della Chiesa da Papa Pio XI nel 1931.
Nacque in Germania, molto giovane venne in Italia per studiare le arti a Padova. Durante il soggiorno nella penisola, conobbe i domenicani, dai quali fu inviato a Colonia per la formazione religiosa e per lo studio della teologia. Entrato nell’Ordine dei Predicatori, insegnò a Parigi con la parola e con gli scritti, filosofia e teologia, durante i quali ebbe un allievo d’eccezione: Tommaso d’Aquino. Rimandato dai superiori a Colonia per fondarvi lo studio teologico, portò con sé Tommaso con il quale avviò un progetto molto ambizioso: il commento dell’opera di Dionigi l’Areopagita e degli scritti filosofico naturali di Aristotele. Alberto vedeva il punto d’incontro di questi due autori nella dottrina dell’anima. Riuscì ad unire in mirabile sintesi la sapienza dei santi con il sapere umano e la scienza della natura. Alberto dava così avvio all’orientamento mistico nel suo ordine che sarà sviluppato da maestro Eckhart, mentre la ricerca filosofico – teologica verrà proseguita da S. Tommaso.
È considerato il più grande filosofo e teologo tedesco del medioevo, grande studioso delle scienze naturali. Fu provinciale dell’ordine domenicano per il nord della Germania, per breve tempo vescovo di Ratisbona, dove si adoperò assiduamente per rafforzare la pace tra i popoli, ma dopo un anno preferì la povertà dell’Ordine a ogni onore e spendendo il resto della sua vita tra preghiera e composizione di opere scientifiche ed ascetiche.
Protettore di: scienziati, naturalisti e studenti di scienze naturali.
Emblema: bastone pastorale.
Attributi: il libro e la penna.
S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, detto Doctor Zelantissimus- Vescovo.
Marianella (Napoli),1696- Nocera de’ Pagani (Salerno),1787
Ricorrenza: 1 agosto
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Pio IX nel 1871 a soli 84 anni dalla morte, mentre Papa Pio XII nel 1950 gli conferì il titolo di “Celeste Patrono di tutti i confessori e moralisti”
Nasce a Napoli nel 1696 da genitori appartenenti alla nobiltà, fino a ventisette anni prevalsero gli studi privati nel campo della musica, delle scienze, delle lingue, filosofia e del diritto, seguiti da una iniziale brillante carriera forense. Dopo alcuni anni di avvocatura, decide di dedicarsi interamente al Signore. Ordinato prete nel 1726, dedica quasi tutto il suo tempo e il suo ministero agli abitanti dei quartieri più poveri di Napoli del 700.
Nel maggio del 1730, incontra i pastori delle montagne e, constatando il loro profondo abbandono umano e religioso, sente la necessità di rimediare. Lascia Napoli e con alcuni compagni, sia pure tra molti ostacoli, istituì la Congregazione del SS. Salvatore, successivamente approvata dal papa Benedetto XIV come Congregazione del SS. Redentore, per l’evangelizzazione dei semplici. Alfonso Maria è autore di celebri melodie natalizie, tra cui la famosissima “Tu scendi dalle stelle”.
Eletto vescovo di Sant’Agata dei Goti s’impegnò oltremodo in questo ministero. Al fine di promuovere la vita cristiana nel popolo scrisse libri, specialmente di morale e disciplina dando spazio alle “voci interiori della coscienza”
Tra le sue numerosissime opere di meditazione e di ascetica, l’ancora oggi studiata, “Theologia moralis”. È questo in effetti il vero capolavoro.
Emblema: Crocifisso nella mano destra, bastone pastorale.
S. AMBROGIO DI MILANO, vescovo e scrittore.
Treviri (Germania), 339 o 340 – Milano, 397
Ricorrenza: 7 dicembre
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Bonifacio VIII nel 1298 e annoverato tra i massimi dottori della Chiesa, fu una delle personalità più importanti del IV sec. ed una delle più belle figure della cristianità.
Vescovo di Milano, vero pastore e maestro dei fedeli, fu pieno di carità verso tutti, difese strenuamente la libertà della Chiesa e la retta dottrina della fede contro l’arianesimo. Alla Chiesa di Milano lasciava un ricco tesoro di insegnamenti, che si conserva ancor oggi, nel campo liturgico e musicale.
Ambrogio fu un magistrato e a trent’anni era già Console di Milano. Il suo governo fu talmente apprezzato dal popolo che, nel 374 quando morì il vescovo ariano Aussenzio, cattolici e ariani, dopo prolungati e aspri dissensi sul diritto di nominare il nuovo Vescovo, si accordarono per eleggere Ambrogio. Inizialmente fu talmente sorpreso che, per sottrarsi all’incarico, fuggì fuori Milano. Ma dopo averci pensato decise di accettare, anche se era in attesa del Battesimo! Cominciò distribuendo i suoi beni ai poveri e dedicandosi allo studio della Sacra Scrittura, imparò a predicare, divenendo uno dei più celebri oratori del suo tempo, capace di incantare perfino Agostino di Tagaste, che si convertì grazie a lui. Mantenne stretti e buoni rapporti con l’imperatore, ricordando a tutti che “l’Imperatore è dentro la Chiesa, non sopra la Chiesa”.
Attributi: bastone pastorale, api e gabbiano.
S. ANGELA MERICI, vergine.
Nata a Desenzano del Garda intorno al 1474, morì nel 1540 a Brescia. Compatrona della diocesi dal 2010.
Il suo corpo è venerato nell’omonimo santuario a Brescia.
Ricorrenza: 2 gennaio, mentre la diocesi di Brescia la ricorda il 27 gennaio (Solennità in città).
Proclamata Santa nel 1807 da Papa Pio VII.
Nata da modesta famiglia, ultima di sei figli, ricevette dai suoi una scarsa formazione intellettuale, ma una solida educazione cristiana. La sua vita è precocemente segnata dai lutti, con la morte della sorella, a cui era legatissima e dei genitori. È ancora una ragazzina quando viene accolta dallo zio materno a Salò, ove rimarrà per tutta l’adolescenza. La famiglia dello zio viveva con una certa agiatezza e questo ebbe l’effetto di accentuare in lei, di modeste esigenze e di grande semplicità, l’inclinazione alla penitenza e il desiderio del chiostro; rimase tuttavia a lungo incerta sulla sua vocazione. Intanto con un cugino, Bartolomeo Biancosi, che avrebbe più tardi fatto parte di una Compagnia del Divino Amore in Salò, prese a frequentare il convento dei frati cappuccini di S. Bernardo facendosi terziaria francescana.
Tornata nel 1500 a Desenzano, ebbe qualche tempo dopo una visione che le permise di risolvere i suoi dubbi tra la contemplazione e la vita attiva; rinunciò al monastero e si diede ad opere di carità assistendo ed aiutando donne e fanciulle della sua città.
Nel 1524 con un cugino, Bartolomeo Biancosi, si recò in Terrasanta: durante il viaggio perse improvvisamente la vista che recuperò solo al ritorno. Dentro di sé, però, vide una luce e una scala che saliva in cielo, dove la attendevano schiere di fanciulle che prefigurava la fondazione della Compagnia di S. Orsola. Tornata in patria, diede vita alla nuova congregazione radunando intorno a sé amiche e consorelle che da lei, pur rimanendo ciascuna nel proprio ambiente, erano seguite e consigliate.
Nel 1535 fondò a Brescia l’Istituto femminile di Sant’Orsola, finalizzato allo scopo di istruire alla vita cristiana le ragazze povere: congregazione le cui suore sono ovunque note come Orsoline. La sua idea di aprire scuole per le ragazze era rivoluzionaria per un’epoca in cui l’educazione era privilegio quasi solo maschile.
La regola della Compagnia di S. Orsola, approvata dopo la morte della fondatrice nel 1544, si diffuse rapidamente in Italia e fuori, contribuendo attivamente alla restaurazione morale e religiosa del mondo cattolico.
Emblema: Giglio
BEATA ANNUNCIATA (Annunciata Asteria) COCCHETTI, vergine e fondatrice.
Rovato 1800, Cemmo di Capo di Ponte, (Bs) nel 1882.
La sera del 22 gennaio 1951 avvenne in privato la traslazione delle sue spoglie, che furono tumulate nell’atrio della Cappella di Casa Generalizia delle Suore di S. Dorotea a Cemmo.
Ricorrenza: 23 marzo (11 maggio Memoria per la diocesi di Brescia)
Beatificata da Papa Giovanni Paolo II° nel1991.
Terza dei sei figli, di famiglia borghese, a 7 anni rimane orfana di entrambi i genitori e viene affidata alla nonna paterna, donna di fede profonda e saggia educatrice. A 17 anni, con il consenso della nonna, apre in casa propria una scuola gratuita per le fanciulle povere del paese. Si impegna anche nell’oratorio femminile appena aperto a Rovato. A 19 anni partecipa alle Missioni Popolari e in seguito a questa esperienza scrive la sua “Regola di vita” alla quale si atterrà sempre.
A 22 anni divenne la prima insegnante della scuola femminile di Rovato.
La morte della nonna, che l’aveva allevata, la porta a vivere a Milano, nella casa dello zio Carlo, che non condivide i suoi ideali e la vorrebbe sposata.
Nel 1831 andò a Cemmo in Valcamonica dove si trovava una scuola aperta da Erminia Panzerini, che fin dal 1821 la gestiva secondo lo spirito dell’Opera di Santa Dorotea. Annunciata vi prestò la sua opera di maestra per dieci anni. Alla morte della Panzerini nel 1842 si trasferì a Venezia divenendo una suora Dorotea. Nell’ottobre dello stesso anno ritornò a Cemmo con altre due religiose e nel 1843 pronunciò i voti. Per 40 anni si dedicò all’apostolato in Valcamonica.
Nel 1853 aprì a Cemmo un noviziato proprio. Negli anni successivi Suor Annunciata si dedicò alla sua comunità, alla scuola e particolarmente alle sezioni della Pia Opera sparse nei vari paesi. Aprì il collegio per ospitare le ragazze che venivano da lontano e curò progressivamente l’ampliamento del convento e delle strutture necessarie alla crescente attività educativa.
Emblema: Giglio
S. ANSELMO D’AOSTA o Anselmo Di Canterbury, arcivescovo, teologo e filosofo.
Aosta, 1033 o 1034 – Canterbury, 1109.
Ricorrenza: 21 aprile
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Clemente XI nel 1720. Soprannominato Doctor magnificus.
Nel 1060 Anselmo entra nel seminario benedettino del Bec (Francia) e grazie alle sue qualità ne divenne priore e quindi abate. Insegnò ai suoi confratelli a cercare Dio con l’intelletto della fede e qui avvierà la sua attività di ricerca.
Nel 1093 diventa arcivescovo di Canterbury e negli anni successivi lottò strenuamente per la libertà della Chiesa, nella lotta per le investiture che vedeva contrapposti i sovrani d’Inghilterra e il Papato sopportando per questo l’esilio a Roma per due volte.
Considerato tra i maggiori teologi dell’Occidente. Anselmo è noto soprattutto per la dimostrazione dell’esistenza di Dio. La sua ricerca è tutta concentrata sulla figura di Dio. La sua riflessione filosofica e teologica, si articolò su diversi problemi, studiò i problemi dottrinali come quello della Trinità o come quelli legati al libero arbitrio, al peccato originale e alla grazia.
Emblema: Bastone pastorale e nave
S. ANTONIO ABATE, eremita e taumaturgo
Coma, Egitto, 250 circa. – Tebaide (Alto Egitto) 356 circa
Ricorrenza: 17 gennaio
Nacque a Coma, in Egitto, intorno al 250
Visse in solitudine nel deserto, e lo si ritiene fondatore del monachesimo.
E’ vestito da vescovo, perché gli abati hanno dignità vescovile; resistette con la preghiera alle crudeli tentazioni del diavolo, insegnò l’ascesi, e operò miracolose guarigioni, in particolare dell’herpes zoster, detto “fuoco di Sant’Antonio”. Nel medioevo i malati accorrevano a Saint-Antoine de Viennois, dove religiosi dell’ordine ospedaliero degli Antoniani curavano questo male con unguenti di grasso di maiale.
Nell’iconografia è rappresentato contornato da donne procaci, simbolo delle tentazioni, o animali domestici come il maiale di cui è popolare protettore.
Patronato: eremiti, monaci
Emblema: bastone pastorale, campana, croce a T.
Attributi: abito vescovile, maiale, fuoco.
S. ANTONIO DI PADOVA (Fernando di Buglione). Sacedote
Lisbona 1195 – Padova 1231.
Ricorrenza: 13 giugno
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Pio XII nel 1946.
Novizio tra i canonici di S. Agostino, fu ordinato sacerdote nel 1219 col nome di Antonio. Quando nel 1220 giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, decide di lasciare l’ordine di Sant’Agostino e entrare nel romitorio dei Minori Francescani. Nel 1221 invitato al Capitolo Generale di Assisi, ha modo di ascoltare S. Francesco che, riconosciute le sue doti di predicatore, lo mandò a predicare in Romagna. Predicatore dotato di grande sapienza e cultura, su mandato di Francesco, insegnò teologia ai suoi confratelli. Supervisore dei conventi francescani, fu inviato dallo stesso Francesco a contrastare la diffusione dell’eresia catara in Francia.
Scrisse sermoni imbevuti di dottrina e di finezza di stile, apprezzati per gli insegnamenti dottrinali.
Poco prima di morire ebbe il dono di tenere in braccio Gesù bambino. Di lui si narrano grandi prodigi miracolosi, sia in vita che dopo la sua morte. Tali eventi facilitarono la sua canonizzazione, inferiore ad un anno (è il Santo canonizzato più rapidamente nella storia della chiesa)
Patrono del Portogallo, di Padova, dei commercianti del vetro, delle reclute, dei prigionieri, di orfani, viaggiatori e poveri.
Patronato: affamati, oggetti smarriti, poveri.
Emblema: saio francescano, Gesù bambino, giglio, pesce.
S. ARCANGELO TADINI, parroco.
Nato a Verolanuova 1846 – morto a Botticino 1912
Ricorrenza: 20 maggio (la diocesi di Brescia lo ricorda il 21 maggio)
Canonizzato da Papa Benedetto XVI il 26 aprile 2009.
Il suo corpo è venerato nella cappella della Casa Madre delle Suore Operaie della S. Casa di Nazareth, a Botticino.
Nato da una famiglia nobile, entrò nel seminario di Brescia nel 1864, dove si trovava già uno dei suoi fratelli. Ordinato sacerdote, nel 1870, il suo primo incarico fu quello di vicario cooperatore della parrocchia di Lodrino (BS) e maestro elementare nella scuola comunale. Successivamente cappellano presso il santuario di S.Maria della Noce a Brescia fino al 1885. Nel 1887 divenne parroco, a Botticino Sera (BS), carica che tenne fino alla morte.
Il Tadini, oratore nato, si manifestò tale fino dai primordi del suo ministero. Nella predicazione faceva piangere perché sapeva commuovere. Soprattutto era il moralista che richiamava il suo popolo a una vita onesta e cristiana.
Per l’insegnamento del catechismo ai fanciulli introdusse una grande novità per allora, le proiezioni luminose. Si mostrò un severissimo tutore della dignità della donna. Fu fondatore dell’oratorio femminile; dettò regole che, se oggi possono sembrare strette, allora educarono tutta la gioventù femminile del paese ad un autentico cristianesimo.
La sua attenzione pastorale è rivolta soprattutto alle povertà del difficile periodo della prima industrializzazione: conobbe le difficoltà fisiche e morali della classe operaia. Coltivando per tutta la sua vita la carità in modo eroico, consumando il suo patrimonio e privandosi di tutto. Con il suo patrimonio personale, costruì una filanda per evitare l’emigrazione delle ragazze del paese inoltre un pensionato per lavoratrici.
Nel 1893 fondò l’associazione di mutuo soccorso operaio, che forniva assistenza ai lavoratori in caso di malattia o di infortunio e si adoperò per i diritti e la dignità dei lavoratori per assicurare l’assistenza alle giovani.
Nel 1900 fondò la Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth, la cui missione era quella di lavorare con gli operai per fornire loro istruzione e sostegno morale. Congregazione dedita alla giustizia sociale con i tre voti canonici, vita in comune, abito religioso, ma impegnate come vere e proprie operaie.
Per questa sua intraprendenza il Tadini ottiene calunnie e incomprensioni, anche da parte della Chiesa. In realtà egli precorre i tempi: egli intuisce che la Suora, operaia tra le operaie, può dare una comprensione più positiva del mondo del lavoro, visto non più come luogo avverso alla Chiesa, ma ambiente bisognoso di fermento evangelico.
S. ATANASIO DI ALESSANDRIA, vescovo.
Nato e morto a Alessandria d’Egitto 295 – 373
Ricorrenza: 2 maggio
Proclamato Dottore della Chiesa nel 1568 da Papa Pio V.
Atanasio detto il Grande nacque da genitori cristiani i quali gli fecero impartire un’educazione classica.
Crebbe nella città che glia aveva dato i natali, città che tra le tre più grandi del mondo antico, era sicuramente la più turbolenta e la più ricca culturalmente: vi erano oltre ad una forte scuola cristiana anche molti cristiani considerati eretici, gnostici e numerosi i pagani.
Discepolo di S. Antonio abate, nella gioventù, si consacrò al servizio della Chiesa. Narrò la vita di Sant’Antonio abate e divulgò anche in Occidente l’ideale monastico.
Nel 325 accompagnò come diacono e segretario il suo vescovo Alessandro e presenziò al Concilio di Nicea nel quale fu solennemente definita la consostanzialità del Figlio con il Padre. Morto il vescovo Alessandro, nel 328, Atanasio fu acclamato dagli alessandrini loro pastore. Fu vescovo per ben 46 anni, ma furono anni durissimi, di lotta contro l’eresia ariana e contro gli ariani.
S. Atanasio, di insigne santità e dottrina, è il più celebre dei vescovi alessandrini. Fu il più intrepido difensore della fede nella divinità di Cristo, proclamata dal Concilio di Nicea e negata dagli Ariani che negavano il mistero della S.S. Trinità.
Combatté strenuamente e per questo, soffrì persecuzioni, congiure da parte degli ariani e più volte fu mandato in esilio; tornò infine alla Chiesa a lui affidata, dopo aver lottato e sofferto molto, con eroica pazienza. Al termine di questa travagliata vita ebbe la soddisfazione di riuscire a convocare nel 362 nella sua Alessandria un concilio d’oriente che, con grande prova di larghezza d’animo, pose fine a tutte le dispute dogmatiche, facendo semplicemente rivivere i decreti del concilio di Nicea.
Emblema: Bastone pastorale
S. BARBARA VERGINE E MARTIRE.
Nacque probabilmente in Turchia nel 273 d.C.
Secondo la tradizione, morì martire nel 306 d. C.
Ricorrenza: 4 dicembre
Il luogo e l’epoca in cui è vissuta, a causa delle numerose leggende sorte intorno al suo nome, non sono chiaramente identificabili.
Nelle versioni della Passio, si riscontrano non poche divergenze sul suo martirio, posto sotto l’impero di Massimino il Trace (235 – 38) o di Massimiano (286 – 305), mentre in altre sotto quello di Massimino Daia (308 –13).
Anche delle notizie biografiche si possiedono scarsissimi elementi, solo il nome e l’origine orientale.
Si distinse per l’impegno nello studio e per la riservatezza, qualità che le giovarono la qualifica di «barbara», cioè straniera, non romana. Tra il 286-287 Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, oggi in provincia di Rieti, al seguito del padre Dioscoro, collaboratore dell’imperatore Massimiano Erculeo.
Nonostante moltissimi pretendenti, Barbara non aveva intenzione di sposarsi e la sua conversione alla fede cristiana provocò l’ira del padre che era pagano. La ragazza fu costretta a rifugiarsi in un bosco dopo aver distrutto gli dei nella villa del padre. Secondo la tradizione, fu rinchiusa in una torre dal padre che non voleva si consacrasse a Dio. Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d’acqua e vi si immerse tre volte dicendo: “Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Consegnata al prefetto Marciano, durante il processo che iniziò il 2 dicembre 290, Barbara difese il proprio credo ed esortò il padre, il prefetto ed i presenti a ripudiare la religione pagana per abbracciare la fede cristiana.
Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito ma, visti inutili i tentativi, ordinò numerose e dolorose torture con il fuoco, secondo la leggenda.
Finalmente, il 4 dicembre, il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso che eseguì la sentenza. Subito dopo però un fulmine colpì e bruciò completamente il crudele padre, del quale non rimasero nemmeno le ceneri.
Il culto di Santa Barbara è attestato presso le comunità cristiane d’Oriente (Egitto, Costantinopoli) e Occidente (Roma, Francia) sin dal VI-VII secolo e conobbe una grande popolarità nel Medioevo.
I resti della santa si trovano nella cattedrale di Rieti.
Barbara è una santa molto popolare, grazie al numero dei suoi patronati (vigili del fuoco, marina militare, artificieri, artiglieri, genieri, minatori, Architetti, ecc.).
La tradizione la invoca contro i fulmini e il fuoco.
Emblema: Palma, Torre.
S. BASILIO MAGNO detto il Grande, vescovo greco, chiamato il teologo. Padre della Chiesa e con i titoli di Confessore e primo dei Padri cappadoci.
Nato a Cesarea di Cappadocia, attuale Kaysery, Turchia, 329 -330 Morì nel 379 a Cesarea dove fu sepolto.
Ricorrenza: 2 gennaio
Proclamato Dottore della Chiesa, nel 1568 da Papa Pio V.
Basilio nacque da un ricco avvocato e da una famiglia intrisa di santità. Oltre ai genitori Basilio ed Emmelia anche tre dei suoi fratelli sono annoverati tra i santi. San Gregorio vescovo di Nissa, San Pietro vescovo di Sebaste e Santa Macrina, omonima della nonna. Sua nonna, Santa Macrina “l’Anziana”, fu discepola di San Gregorio Taumaturgo vescovo di Neocesarea e suo nonno morì martire nella persecuzione di Diocleziano.
Studiò in patria a Costantinopoli e a Atene, dove ha conosciuto Gregorio Nazianzeno a cui si legò con profonda amicizia.
Basilio ricevette l’ordinazione sacerdotale verso il 364 dal vescovo Eusebio di Cesarea a cui successe sulla cattedra nel 370.
Prima di essere vescovo, dopo il battesimo, percorse Egitto, Palestina, Siria e Mesopotamia, attratto dal richiamo del deserto e della vita monastica. Quando fece ritorno in patria non esitò a distribuire parte dei suoi beni ai poveri ed a ritirarsi in solitudine sulle rive dell’Iris. Ai suoi seguaci, diede una solida formazione morale e ascetica, con le Regole, concernenti i doveri e le virtù dei monaci, che gli valsero l’appellativo di “legislatore del monachesimo orientale”. Insegnò loro la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna. Fu in solitudine che, insieme a Gregorio di Nazianzo, scrisse la regola che ancora oggi ispira la vita dei monaci basiliani.
Visse solo 49 anni ma la sua dottrina, la sua sapienza ed intensa e profonda attività di predicatore, gli valsero il titolo di «Magno».
Durante il servizio episcopale si impegnò attivamente contro l’eresia ariana. Tra le sue opere dottrinali si ricorda soprattutto il celebre trattato teologico sullo Spirito Santo e l’Epistolario.
Attributi: È rappresentato con il pallio; o con la colomba dello Spirito Santo sulla spalla.
Emblema: bastone pastorale.
S. BEDA detto il Venerabile, Sacerdote e dottore della Chiesa (Chiamato “il Venerabile” per sapienza e saggezza).
Monkton in Jarrow, Inghilterra, 672-673 – Jarrow, 735.
Memoria liturgica:25 maggio
Canonizzato e, contemporaneamente, proclamato “Dottore” della Chiesa nel 1899 da Papa Leone XIII.
Non è chiaro se appartenesse ad una famiglia nobile.
Entrato nel monastero di Wearmouth (oggi parte di Sunderland-Inghilterra) all’età di 8 anni, divenne diacono a 19 e sacerdote a 30. Gli abati Benedetto Biscop e Ceolfrido furono i suoi esimi educatori.
Beda, monaco cristiano e servo di Cristo, non intraprese la carriera ecclesiastica e trascorse tutta la vita nel monastero benedettino di San Pietro e San Paolo a Wearmouth e a Jarrow nella Northumbria (Inghilterra) dividendo il suo tempo tra l’assolvimento delle funzioni monastiche, lo studio, l’insegnamento, la scrittura e la spiegazione delle Scritture.
E’ stato un personaggio di grande cultura, interessato agli studi e cresciuto con una formazione ampia e articolata, che va dalle materie scientifiche e umanistiche fino agli scritti antichi.
Abile nelle lingue, dalle sue produzioni possiamo evincere che conoscesse il greco ed il latino; grazie a queste sue conoscenze Beda potè attingere agli scritti di Cicerone, Virgilio, Lucrezio, Ovidio, Terenzio e dei Padri della Chiesa per le sue ricerche, ma soprattutto per lo studio della Bibbia. Studioso di tempra eccezionale e gran lavoratore, ha lasciato nei suoi scritti l’impronta del suo spirito umile e sincero e della sua saggezza.
Famoso come studioso e autore di numerose opere letterarie, citato anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia, Beda scrisse su molti argomenti, dalla musica alla poesia, ai commentari biblici. Di lui restano opere esegetiche, ascetiche, scientifiche e storiche; la più conosciuta è la “Historia ecclesiastica gentis Anglorum” (Storia ecclesiastica del popolo degli Inglesi) un monumento letterario universalmente riconosciuto, da cui emerge la Romanità (universalità) della Chiesa, che gli ha valso il titolo di “Padre della storia inglese”.
Quasi tutto ciò che conosciamo della vita di Beda è quanto racconta lui stesso nella sua Historia.
Venerato da tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi è sepolto nella Cattedrale di Durham.
Patrono di: studiosi.
S. BENEDETTO DA NORCIA, patriarca dei monaci d’occidente, abate e fondatore.
Norcia (Perugia), ca. 480 – Montecassino (Frosinone), 543/560
Ricorrenza: 11 luglio e 21 marzo
Educato a Roma, disgustato dalla vita dissoluta, si rifugiò a Subiaco dove vestì l’abito monastico. per i suoi molti discepoli fondò dodici piccoli monasteri dando inizio al monachesimo d’occidente; numerosi miracoli confermarono la bontà dell’impresa. fu poi a Cassino, il cui monastero divenne centro di vita attiva e contemplativa. La sua regola, sintetizzata nel motto: “ora et labora”, unisce preghiera e lavoro. E’ stato proclamato patrono d’Europa.
Patronato:Europ a, monaci, architetti, ingegneri.
Emblema: bastone pastorale, coppa, corvo imperiale.
Attributi: abito nero monacale, pastorale abbaziale, libro della regola
S. BERNARDO DI CHIARAVALLE, abate, fu padre dell’Ordine Cistercense.
Bernard de Fontaine, italianizzato in Bernardo di Chiaravalle Nato nel 1090 a Fontaines lès Dijon (Digione), morì a Ville sous la Ferté Clairvaux (Chiaravalle) 1153.
Ricorrenza: 20 agosto
Proclamato Dottore della Chiesa nel 1830 da Papa Pio VIII.
Nato, da una famiglia della piccola nobiltà, destinato alla carriera ecclesiastica, andò a scuola dei canonici di Chatillon sur Seine che terminò nel 1106.
Nel 1111, insieme ai cinque fratelli e ad altri parenti e amici, si ritirò a Châtillon per condurvi una vita di ritiro e di preghiera finché, l’anno seguente, con una trentina di compagni si fece monaco nel monastero cistercense di Cîteaux, davanti all’abate Stefano Harding, su incarico del quale fondò nel 1115, (a 25 anni) insieme con dodici compagni, il monastero cistercense a Clairvaux, campagna disabitata, che diventa la Clara Vallis (Chiaravalle). Diresse sapientemente con la vita, la dottrina e l’esempio i monaci sulla via dei precetti di Dio.
Ottenuta l’approvazione del vescovo Guglielmo di Champeaux e ricevute numerose donazioni, l’Abbazia di Clairvaux divenne in breve tempo un centro di richiamo oltre che d’irradiazione: già dal 1118, monaci di Clairvaux partirono per fondare nuovi monasteri. Si deve del resto a Bernardo la rapida espansione dell’intero Ordine dei Cistercensi e la sua dimensione ampiamente internazionale. Ai suoi Cistercensi chiede meno funzioni, meno letture e tanto lavoro.
L’obbedienza e il bene della Chiesa lo spinsero spesso a lasciare la quiete monastica per dedicarsi alle più gravi questioni politico-religiose del suo tempo, come quando percorse tutta l’Europa per far riconoscere Innocenzo II come il vero papa, insidiato dall’antipapa Anacleto II. Bernardo pone fine allo scisma, grazie all’aiuto del suo prestigio, del suo vigore persuasivo, ma soprattutto della sua umiltà. Partecipò attivamente alla vita della Chiesa, mediante un’intensa attività esterna al chiostro cui si affianca una altrettanto poderosa attività letteraria, illuminando tutta la Chiesa con i suoi scritti e le sue ardenti esortazioni. Maestro di guida spirituale, lascia, nei suoi sermoni di commento alla Bibbia e alla liturgia, un eccezionale documento di teologia monastica.
Patronato: apicoltori.
Emblema: Bastone pastorale, Libro.
S. BIAGIO, Vescovo e Martire.
Sebastea (antica Armenia), III secolo – Sebastea 316 circa.
Ricorrenza: 3 febbraio
Venerato dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa.
Vissuto in (Asia Minore), era di professione medico ma con l’aiuto del Signore sanava tutte le infermità sia degli uomini che delle bestie ma non con medicine, ma con il nome di Cristo. Fu nominato vescovo della sua città.
A causa della sua fede venne imprigionato dai Romani, poi venne portato dal giudice dove confessò la sua fede cristiana e si rifiutò di rinnegarla, maledicendo gli idoli e chiamando gli adoratori degli idoli adoratori del demonio.
Dopo essere stato lungamente battuto e sospeso ad un legno, ove con pettini di ferro che si usano per cardare la lana gli furono lacerate le carni, dopo aver sofferto un’orrida prigione ed essere stato sommerso in un lago, dal quale uscì salvo, finalmente, per ordine del medesimo giudice, fu decapitato.
Rimane una figura misteriosa in quanto si trova per così dire in bilico tra la storia e la leggenda: la documentazione storica è labile, ma le testimonianze numerose. A San Biagio vengono attribuiti diversi miracoli, il più noto dei quali è certamente l’aver salvato con una benedizione un bambino che stava soffocando dopo aver inghiottito una spina di pesce. Secondo la leggenda il miracolo avvenne proprio mentre il Santo, già condannato, veniva condotto al martirio.
Non sappiamo se la sua fama di curatore o questo miracolo valsero a San Biagio il titolo di “protettore della gola”, ma ogni anno, il 3 febbraio, data della sua morte, i fedeli si rivolgono a S. Biagio nella sua qualità di medico, per la guarigione dalle malattie della gola. Durante la sua celebrazione liturgica, in molte chiese i sacerdoti benedicono le gole dei fedeli accostando ad esse due candele.
San Biagio fa parte dei quattordici cosiddetti santi ausiliatori, ossia, quei Santi invocati per la guarigione di mali particolari. È invocato contro le malattie della gola.
Patronato: malattie della gola (otorinolaringoiatri). pastori, agricoltori, cardatori della lana.
Emblema: pettine per la lana.
S. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO (Giovanni Fidanza), detto Doctor Seraphicus.
Filosofo e teologo Cardinale e vescovo di Albano.
Bagnoregio (Viterbo), 1218 – Lione (Francia), 1274.
Ricorrenza 15 luglio
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Sisto V nel 1588.
Il suo nome di Battesimo era Giovanni, solo quando entrò nell’ Ordine Minoritico prese il nome di Bonaventura.Da Bambino fu guarito da San Francesco, che avrebbe esclamato: «Oh bona ventura» e gli rimase per nome. La prima formazione culturale, la ricevette nel suo paese, a 18 anni si recò a Parigi ,dove studiò alla Facoltà delle Arti; durante il suo soggiorno in Francia, entrò nell’Ordine dei Frati Minori. Per 17 anni (dal 1257) fu ministro generale dell’Ordine francescano, del quale è ritenuto uno dei padri: quasi un secondo fondatore dell’Ordine. Sotto la sua guida furono pubblicate le Costituzioni narbonesi, su cui si basarono tutte le successive costituzioni dell’Ordine. Insegnò teologia all’università di Parigi e formò intorno a sé una reputatissima scuola.
Partecipò al II° Concilio Ecumenico di Lione che, grazie anche al suo contributo, segnò un riavvicinamento fra Chiesa latina e Chiesa greca.
Patronato: fattorini.
Emblema: Bastone pastorale, cappello da cardinale
S. CARLO DA SEZZE (Giancarlo Marchionne)
Religioso laico dell’Ordine dei Frati Minori Riformati.
Sezze, Latina, 19 ottobre 1613 – Roma, 6 gennaio 1670
Nel 1959 è stato dichiarato Santo da Papa Giovanni XXIII.
Ricorrenza: 6 gennaio giorno della sua morte.
Nato da genitori contadini, dopo un’istruzione di base, sicuramente elementare, Giancarlo si rifiutò di proseguire gli studi a causa di un non meglio specificato incidente con il maestro e allora venne avviato dai genitori al lavoro dei campi, come e pastore.
A 17 anni fece voto di castità in onore della Vergine e nel 1636 chiese ed ottenne di entrare nella provincia romana dei Frati minori riformati.
Fu addetto, ai lavori consueti del suo stato (era religioso laico) alla cucina, al refettorio, alla portineria, al giardino, come questuante e sacrestano. Nel 1637 emise la professione religiosa con il nome di Fra. Carlo da Sezze.
Indossato finalmente, come desiderava, l’abito francescano, si dedicò all’adorazione del Santissimo Sacramento.
Carlo si distinse per una dote, pur avendo a malapena concluso gli studi elementari, in un’insospettabile attività letteraria, ebbe doni di scienza straordinari e questo gli permise di realizzare numerosi testi di opere ascetico-letterarie che vanno dall’autobiografia alla teologia mistica: i Pontefici Alessandro VII e Clemente IX lo scelsero come consigliere.
IL MIRACOLO
Ricevette le stigmate nel 1648 nella chiesa di San Giuseppe a Capo le Case, a Roma. Secondo il suo racconto, ascoltando la Santa Messa, al momento dell’elevazione, vide scaturire un raggio dall’ostia, che lo colpì nel cuore, procurandogli un grandissimo dolore. Successivamente si trovò una piaga sul petto a forma di croce, fu uno stigma che ebbe con sé per tutta la vita.
LA COMMISSIONE MEDICA
Alla sua morte, venne ordinata l’autopsia del petto e si scoprì una piaga che attraversava il cuore e altri segni, riconosciuti di origine soprannaturale e dichiarati miracolosi da tredici medici, di cui sette incaricati dalla Congregazione dei Riti.
Nel 2004 il cardinale José Saraiva Martins, allora prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, ricordò come Carlo da Sezze sia l’unico santo nella storia della Chiesa ad aver ricevuto questo segno dell’amore di Dio direttamente dall’Eucaristia.
Le sue spoglie sono conservate nella chiesa di S. Francesco a Ripa, quartiere Trastevere a Roma. dove morì.
Patrono di Sezze e della diocesi di Latina-Terracina.
S. CATERINA DE’ RICCI (Sandrina)
Vergine del Terz’Ordine regolare di San Domenico.
Firenze 1522 – Prato 1590.
Ricorrenza: 2 febbraio giorno della morte. Viene festeggiata il 4, poiché il 2 è la ricorrenza della Presentazione al tempio di Gesù.
Fatta Santa da Papa Benedetto XIV, nel 1746.
Le sue spoglie si trovano ancora oggi in una teca nella basilica di San Vincenzo Ferreri a Prato, meta di un continuo pellegrinaggio di fedeli fra cui la visita di tre Pontefici: Pio VII, Pio IX e Giovanni Paolo II, nel 1986.
Rimasta orfana di madre a cinque anni, fin dall’infanzia si sentiva spinta da impulsi interiori alla meditazione della Passione di Cristo, in cui si incentrerà tutta la sua futura vita spirituale. Desiderando abbracciare la vita religiosa, con l’aiuto della matrigna, visitò diversi monasteri, scegliendo il monastero domenicano di S. Vincenzo di Prato. La decisione trovò l’opposizione del padre che diede il consenso solo quando la giovane si ammalò gravemente e fu sul punto di morire, ma guarita miracolosamente. Appena ebbe il consenso, nel 1535, allora dodicenne, entrò nel monastero di S. Vincenzo, aiutata dallo zio, p. Timoteo Ricci.
Nell’ambiente del monastero fu dapprima circondata dalla diffidenza, di coloro che non comprendevano le sue estasi e le sue grazie straordinarie; ritenuta affetta da squilibrio psichico, fu quasi per essere espulsa alla vigilia della professione religiosa. Nel 1536 emise i voti cambiando il suo nome di Alessandra Lucrezia Romola in quello di Caterina. Caterina, prima vista con sospetto seppe guadagnarsi a poco a poco l’ammirazione e il rispetto delle consorelle e più tardi divenne anche priora del suo monastero per ben sette bienni, durante i quali la comunità fiorì materialmente. In lei si alternavano fasi di malattie straordinarie ed altrettante guarigioni. I tormenti fisici e morali furono la preparazione a prove ben più straordinarie, che noi conosciamo in parte, attraverso le rivelazioni fatte da Caterina alla maestra di noviziato, suor Maddalena Strozzi, per imposizione dello zio, p. Timoteo.
Il fulcro della sua spiritualità è stata la meditazione della Passione e durante la vita conobbe varie estasi mistiche.
Il primo giovedì di febbraio del 1542, Caterina ebbe la prima estasi della Passione, fenomeno mistico che si ripeté settimanalmente per dodici anni: dal mezzogiorno dei giovedì alle ore 16 del venerdì, riviveva momento per momento le diverse fasi del Calvario nella più intima comunione spirituale con la Vergine, e per l’intero corso della settimana portava impressi nella carne i segni di un’atroce sofferenza.
Durante questi eventi, i presenti potevano scorgere sul suo corpo i segni della flagellazione e della crocifissione, fatto questo che richiamò a Prato numerosi visitatori e devoti.
La notizia del fenomeno procurò l’intervento delle autorità, tra cui il generale delI’Ordine, Alberto Las Casas e papa Paolo III inviò un cardinale per un esame, il cui esito fu positivo. Il 9 aprile 1542 fu concesso a Caterina l’anello del mistico sposalizio. Il 14 dello stesso mese durante l’estasi di ventotto ore, sentì le mani e i piedi trapassati da invisibili chiodi e una lama trafiggerle il cuore, lasciandone i segni impressi nella carne: le Stimmate delle cinque Piaghe. Secondo i racconti, le cinque ferite erano luminose, e rimasero visibili sul suo corpo, non corrotto dal tempo; Nella vigilia del Natale 1542, le fu promessa la corona di spine, che si posò sul suo capo a breve distanza di tempo.
Il 24 agosto, mentre nella cella pregava rivolta al Crocifisso appeso alla parete, vide Gesù staccare le braccia dal legno e protendersi verso di lei che prontamente lo sostenne abbracciandolo. Questo abbraccio fu veduto anche da Sr. Maddalena e da altre persone. Infine, un altro segno fu visto soltanto dopo la sua morte: un solco livido che scendeva dalla spalla destra a metà del dorso, testimone della pesantezza della croce portata ogni settimana per molti anni.
Arricchita di doni spirituali, Caterina iniziò allora una silenziosa e feconda azione apostolica di cui rimane il ricchissimo epistolario. Si formò intorno a lei un gruppo di discepoli, che ricorsero a lei per preghiere e consigli. Intrecciò relazioni epistolari con S. Filippo Neri, S. Carlo Borromeo e S. Maria Maddalena De’ Pazzi, fu in corrispondenza con papa S. Pio V, collaborando alla Controriforma cattolica.
Compatrona della diocesi di Prato
Emblema: Giglio
S. CATERINA DA SIENA (Caterina Benincasa), vergine.
Siena 1347- Roma 1380
Ricorrenza: 29 aprile
Proclamata Dottore della Chiesa da Papa Paolo VI nel 1970.
Caterina non andò mai a scuola, non ha maestri. Rifiutò di sposarsi e a soli dodici anni, la visione di Cristo in abiti pontificali le indicò la vocazione. Superati i contrasti famigliari, divenne terziaria domenicana.
Presto la sua santità attirò un gruppo di persone e la sua stanzetta “cella” si fa cenacolo di artisti, dotti, religiosi, nobili e plebei, tutti più istruiti di lei. Lei imparò a leggere e a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi fu dettata e con essi parlò a papi e re. Si dedicò all’assistenza di malati, lebbrosi, appestati e lavorò molto fra i poveri della sua città. Svolse anche un importante ruolo “politico”, convincendo papa Gregorio XI a ritornare a Roma, dopo la “cattività avignonese”; dopo la morte di Gregorio XI, tentò con tutte le sue forze di risanare il grande scisma della Chiesa di Occidente.
Dedita alla pacificazione degli animi, favorì la riforma dell’Ordine Domenicano. Sottoponendosi a dure penitenze, ebbe visioni ed estasi e ricevette le stimmate a Pisa, nella chiesa di Santa Cristina, il 1º aprile 1375 che essa portò nascoste per espressa sua richiesta (visibili solo da lei) soffrendo interiormente per le ferite di Cristo; sarebbero divenute visibili solo al momento della sua morte (i cinque fori) perché tutti potessero vederle. L’unico ad esserne a conoscenza fu il suo confessore.
Papa Pio II le menzionò chiaramente nella bolla di canonizzazione del 1461. Nel 1630, papa Urbano VIII confermò la validità delle stigmate di santa Caterina e papa Benedetto XIII istituì la sua festa liturgica.
Patrona degli infermieri, d’Italia, di Roma e compatrona d’Europa.
Emblema: abito bianco domenicano e mantello nero, giglio e crocifisso.
S. CHIARA D’ASSISI, vergine e fondatrice delle suore Clarisse.
Assisi 1193- Assisi 1253
Ricorrenza: 11 agosto
Conquistata dall’esempio di Francesco d’Assisi, la giovane Chiara fuggì da casa per raggiungerlo alla Porziuncola.
Fu fondatrice delle suore Clarisse, cioè del ramo femminile francescano, che predica la povertà assoluta.
la nuova famiglia religiosa fu stabilita da San Francesco presso la chiesa di San Damiano. Chiara divenne badessa delle povere dame recluse di “San Damiamo”, di cui compose la regola, ottenendo da Gregorio IX il “privilegio della povertà”.
Erede dello spirito francescano, Chiara si preoccupò di diffonderlo, distinguendosi per il culto verso il Santissimo Sacramento. Nel suo monastero abbondavano preghiere e prodigi, e quando truppe saracene mercenarie assaltarono Assisi nel 1243, le fermò dalla porta del monastero col solo mostrare l’eucaristia in una teca.
Si invoca per guarire dalle malattie degli occhi.
Patrona della televisione, delle lavandaie, dei vetrai, delle stiratrici e delle ricamatrici.
Attributi: saio francescano, l’ostensorio, giglio, il libro, la croce, una lanterna.
S. CIRILLO D’ALESSANDRIA, vescovo e scrittore.
Teodosia d’Egitto, 370 – Alessandria d’Egitto, 444.
Ricorrenza: 27 giugno.
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Leone XIII nel 1882.
Vescovo e patriarca di Alessandria d’Egitto tra il 385 e il 412, fu protagonista assoluto nella Chiesa della prima metà del V sec. Fronteggiò gli avversari della Cristianesimo con la stessa determinazione con cui combatté le derive teologiche dentro la Chiesa stessa.
Come teologo, fu coinvolto nelle dispute cristologiche della sua epoca, divenne punto di riferimento nelle dispute teologiche che precedettero e seguirono il III° Concilio Ecumenico, celebrato a Efeso dove sostenne i dogmi dell’unità e unicità della persona in Cristo e della divina maternità della Vergine Maria. In quel Concilio, il Santo dimostrò la tesi che la Madonna era la Madre di Dio e convinse i Padri conciliari, della Santità della Madonna come Madre di Dio. Sviluppò una teoria dell’Incarnazione, che gli valse il titolo di “doctor Incarnationis”, che è considerata ancora valida dai teologi cristiani contemporanei. I suoi scritti dopo circa 1600 anni conservano intatta la loro attualità e sono oggetto di studio nelle Università e nei seminari di tutto il mondo cattolico e ortodosso.
Emblema: bastone pastorale
S. CIRILLO DI GERUSALEMME, teologo e vescovo di Gerusalemme nel 347.
Gerusalemme, 313 o 315 –Gerusalemme, 386/387.
Ricorrenza: 18 marzo (in occidente anche il 20 marzo)
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Leone XIII nel 1883.
Cirillo nacque verso il 315 probabilmente a Gerusalemme. Il suo episcopato fu segnato dalla grave crisi che coinvolse la Chiesa del IV sec.; esperto conoscitore della Parola di Dio, compose opere molto importanti che testimoniano uno stile di vita sobrio e pacifico e un’attenzione molto viva per la pastorale dei catecumeni.
San Cirillo, esiliato ben tre volte, dopo avere sofferto molti oltraggi dagli ariani a causa della fede ed essere stato più volte scacciato dalla sua sede, spiegò mirabilmente ai fedeli la retta dottrina, le Scritture e i sacri misteri con omelie e catechesi.
Nel 381 partecipa al grande concilio di Costantinopoli, dove venne definitivamente decisa l’adozione del Credo, che rese definitiva la verità di fede relativa al Cristo come simile nella sostanza al Padre.
Emblema: Bastone pastorale.
S. DANIELE COMBONI, vescovo e missionario.
Nato a Limone sul Garda (Bs) nel1831. Morto a Karthum (Sudan) nel 1881. Le sue ossa furono disperse.
Ricorrenza: 10 ottobre
Canonizzato da Papa Giovanni Paolo nel 2003.
Daniele nacque da genitori profondamente cristiani. Dopo le elementari fatte privatamente sotto la guida di esperti sacerdoti, all’età di undici anni frequenta come esterno i corsi di ginnasio nel seminario vescovile di Verona, poi entra nell’istituto di don Nicola Mazza, che accoglie giovani di famiglie povere, ma desiderosi di istruirsi. Daniele rivela presto una solida vocazione e nel gennaio 1849, giura davanti al superiore di consacrare la sua vita all’apostolato dell’Africa Centrale.
Il momento è favorevole all’espansione missionaria della Chiesa, una volta esauritasi la bufera bellica. Nel 1800 le terre africane sono percorse da esploratori e accanto a questi vi erano spesso, missionari che volevano portare l’annuncio di Cristo alle popolazioni indigene.
Ordinato sacerdote nel 1854, tre anni dopo sbarca in Africa. Il primo viaggio missionario finisce presto con un fallimento: l’inesperienza, l’ostilità dei mercanti di schiavi costringono Daniele a tornare a Roma.
Daniele no si arrende, progetta un piano di evangelizzazione dell’Africa e fonda diversi istituti maschili e femminili, oggi chiamati Comboniani. Di nuovo in Africa nel 1868, può dare avvio al suo piano. Con i sacerdoti e le suore che l’hanno seguito, si dedica all’educazione della gente di colore e lotta instancabilmente contro la tratta degli schiavi. Scrive numerose opere di animazione missionaria e fonda la rivista Nigrizia che è attiva ancora oggi. Nella città di Khartum in Sudan, Daniele fondò l’Istituto per le Missioni Africane e, nominato vescovo in Africa, si prodigò, nel predicare il Vangelo in quelle regioni e nel prendersi cura della dignità degli esseri umani.
Nel giorno della canonizzazione, Giovanni Paolo II lo definì un “insigne evangelizzatore e protettore del Continente Nero”.
“Precursore, evangelizzatore, profeta, pioniere, gigante missionario, promotore, liberatore, sacerdote e vescovo dal cuore magnanimo che sa perdonare, e specialmente amico dell’Africa, per la quale non esita a sacrificare tutto”. In queste poche righe del cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, c’è un ritratto fedelissimo di san Daniele.
Comboni è stato uno dei più grandi missionari di ogni tempo, al quale l’Africa deve molto. Se il cristianesimo in Africa ha oggi un futuro di speranza, lo si deve alla sua opera.
Emblema: Bastone pastorale
S. DOMENICO SAVIO, adolescente. Laico.
San Giovanni di Riva-Chieri, (TO) 1842-Mondonio, Asti 1857.
Ricorrenza: 9 marzo, il 6 maggio per la Famiglia Salesiana e le diocesi del Piemonte.
Proclamato Santo nel 1954 da Papa Pio XII.
Domenico nasce da una famiglia, molto numerosa secondo dei dieci figli. Fin da piccolo aveva molto chiara la sua chiamata a seguire Gesù e percorse speditamente la via della cristiana perfezione.
A sette anni ricevette la Prima Comunione, per la quale scrisse alcune righe dove riassumeva il suo progetto di vita: vivere da vero cristiano.
A dodici anni Domenico, incontrò don Bosco e dopo un breve dialogo, mostrata l’intenzione di diventare sacerdote se avesse avuto la possibilità di studiare, don Bosco decise di farne un suo allievo nell’oratorio di Torino. Ascoltando una predica di don Bosco, decide di divenire santo e gli chiede: “Mi aiuti a farmi Santo?”.
Proprio sull’esempio di don Bosco desiderava dedicarsi all’insegnamento e all’educazione dei giovani. Don Bosco è la sua guida in tutto, ma qualche volta è Domenico che guida Don Bosco in opere straordinarie di bene. Da questo momento, infatti la sua esistenza fu piena d’amore e carità verso il prossimo dando buon esempio. Si distinse per l’assiduità ai sacramenti, della Penitenza e dell’Eucaristia.
L’8 dicembre 1854, la proclamazione del dogma dell’Immacolata, da parte di Papa Pio IX, spinse Domenico, già devotissimo a Maria, a consacrarsi alla Madre Celeste. Nel 1856 fondò, tra gli amici, la “Compagnia dell’Immacolata” per un’azione apostolica di gruppo. Poco dopo, a causa della sua salute cagionevole, fu costretto a lasciare il collegio di Torino, dove studiava, e morì di tubercolosi a soli 15 anni, lasciando un valido e bel ricordo della sua persona ai giovani cristiani e un trascinatore di altri ragazzi a Gesù.
Don Bosco è talmente convinto della sua santità che decide di pubblicarne subito la vita, per essere additato come modello ai giovani. La sua fama dilaga veloce in tutta la chiesa e i miracoli ne confermano la santità.
E’ sepolto nella Basilica di Maria Ausiliatrice.
Patronato: Chierichetti, Gestanti e dei cori di voci bianche.
S. DOROTEA martire. Laica.
Originaria di Cesarea di Cappadocia, nell’odierna Turchia, vissuta e morta nel IV secolo.
Ricorrenza: 6 febbraio
I due martiri Dorotea e Teofilo sono ricordati in una ‘passio’ molto antica, ma anche leggendaria e commemorati dal Martirologio Geronimiano. Dorotea, si distingueva per la sua carità, purezza e sapienza, la fama delle sue virtù arrivò fino al preside Sapricio, che la fece chiamare e la invitò a sacrificare agli dei, ma Dorotea essendo cristiana si rifiutò, pertanto venne torturata.
Sapricio, cocciuto e deciso ad ottenere il suo scopo, l’affidò a due sorelle apostate, con l’incarico di fare apostatare anche lei. Ma avvenne il contrario, sarà Dorotea che persuaderà le due sorelle a ritornare al cristianesimo; irritato Sapricio condannò le due sorelle ad essere bruciate vive e Dorotea alla decapitazione.
Durante il percorso al luogo del martirio, Dorotea incontrò un tal Teofilo, che prendendola in giro dice: “Sposa di Cristo, mandami delle mele e delle rose dal giardino del tuo sposo”,
Dorotea accettò e, prima della decapitazione, durante una preghiera, un bambino le portò tre rose e tre mele e lei disse di portarle a Teofilo, il quale, visto il prodigio, era il mese di febbraio e le rose certamente non fiorivano, per opera della Grazia di Dio, improvvisamente credette e quindi affermò che il Dio dei cristiani è vero ed unico e si convertì al Cristianesimo ; fu anch’egli denunciato a Sapricio, che lo fece torturare e decapitare. Per questo la Chiesa lo onora come santo assieme a S. Dorotea.
Il culto per s. Dorotea fu molto diffuso nel Medioevo. Tanti celebri artisti a partire dal XIV secolo, hanno creato pitture e sculture, sparse in tutta Europa, che la raffigurano quasi tutte con l’episodio delle mele e delle rose.
Patrona dei fioristi
Emblema: cesto di fiori e frutta.
S. EFREM IL SIRO, diacono, teologo e scrittore.
Nato a Nisibi, attuale Nizip in Turchia nel 306 – morì a Edessa, (attualmente Turchia), nel 373.
Ricorrenza: 9 giugno
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Benedetto XV nel 1920.
Dei primi anni della sua vita si conoscono racconti molto diversi tra loro: certo, invece, il sacramento del battesimo ricevuto verso i 18 anni. Strinse una profonda e spirituale amicizia con il vescovo della città, Giacomo, con il quale contribuì a costruire e a guidare una scuola di teologia. Ordinato diacono dal vescovo Giacomo, visse e operò a Insidi, città natale, fino alla conquista persiana, quando la sua città fu ceduta ai Persiani nel 363.
Efrem, esercitò il ministero della predicazione e dell’insegnamento della sacra dottrina, poi, esiliato, si rifugiò a Edessa, dove pose le fondamenta di una scuola teologica. Esercitò il suo ministero con la parola e con gli scritti e rifulse a tal punto per austerità di vita e dottrina da meritare per l’eleganza degli inni da lui composti l’appellativo di “arpa [cetra] dello Spirito Santo.
Fu autore prolifico di inni, poesie, omelie in versi e commentari biblici in prosa. Le sue opere non rimasero confinate negli scaffali della biblioteca della scuola di teologia di Nisibi: divennero liturgia esse stesse.
Efrem si distinse sempre per il servizio che rese alla Chiesa e non solo in campo liturgico e teologico; negli ultimi anni della sua vita organizzò gli aiuti umanitari resi indispensabili dalla grave carestia che aveva colpito la zona di Edessa.
S. ELENA, imperatrice, madre di Costantino. Laica.
Drepamim (Mar nero) 248 circa – …… 330 circa
Ricorrenza: 18 agosto
Di famiglia plebea, Elena fu ripudiata dal marito, il tribuno Costanzo Cloro, per ordine di Diocleziano. Suo figlio Costantino, divenuto imperatore, la volle accanto a sé tributandole tutti gli onori e il titolo di «Augusta». Elena ebbe un ruolo fondamentale nella conversione del figlio, che concesse ai cristiani la libertà di culto.
Visse nella preghiera e diede prova di grande pietà e carità: non abusò dei suoi privilegi, ma se ne servì per beneficiare generosamente persone di ogni ceto e addirittura intere città. Con la sua intercessione salvò numerosi condannati al carcere, ai lavori forzati o all’esilio. Testimoniò la sua fede compiendo opere di bene e costruendo celebri basiliche sui luoghi santi. Ritrovò la tomba di Cristo, la croce del Signore e tre dei suoi chiodi nel 326.
Morì ottantenne assistita dall’imperatore Costantino, in un luogo non identificato e fu da subito considerata santa.
Si invoca quando si cercano oggetti smarriti.
Patronati dei fabbricanti di chiodi, aghi e archeologi.
Raffigurata con croce e chiodi in mano.
S. ERCOLANO, vescovo di Brescia.
Sarebbe morto a Campione del Garda tra il 576-579 in odore di santità.
Ricorrenza:12 agosto
Le sue reliquie, ritrovate nell’antica pieve di Maderno nel 1282, furono esposte l’anno successivo alla pubblica venerazione. Oggi sono venerate nella nuova chiesa parrocchiale di Maderno (dal 1825).
Patrono di Maderno (BS) e della riviera del Garda
È difficile, tracciare un quadro storico del Santo, una cosa è certa: nel VI° sec. fu Vescovo di Brescia dal 552.
Poche le notizie certe: si legge, dall’epigrafe nella chiesa in Maderno sul Garda: Ercolano nacque in Germania nel secolo VI° da due nobili e facoltosi genitori, che da tempo chiedevano a Dio con preghiere, digiuni ed elemosine, un figlio che fosse loro grato ed utile al prossimo. ..…. egli cresceva negli anni, nel senno, nella pietà e soprattutto nell’amore per i poveri. Giunto a 15 anni, Ercolano meditava come abbandonare le ricchezze e le delizie del mondo per dedicarsi solamente a Cristo.
Una tradizione ormai consolidata racconta che Ercolano si trasferì da Brescia a Campione sul Garda, pare non soltanto per una vocazione eremitica; nel VI° Sec., l’Italia fu invasa dai Goti e dai Longobardi, popoli barbari ed eretici, e probabilmente dovette trasferirsi in vita solitaria a Campione sul Garda a causa di persecuzioni, come accadde contemporaneamente ai vescovi di Milano e di Aquileia. Nel calendario dei Santi, compilato a Trento nel 1022, leggiamo quanto segue: “12 agosto, anniversario di S. Ercolano confessore (della fede) e vescovo che è sepolto a Maderno”. Da questa fonte possiamo stabilire che le reliquie erano in Maderno già nel 1022: quindi è probabile che la prima traslazione delle reliquie, da Campione a Maderno, sia avvenuta tra il 958 e il 1022.
Durante il suo soggiorno a Campione, ed anche nei secoli successivi, fu molto amato dai rivieraschi e molte sono le leggende: Ercolano passò diverso tempo nella grotta sovrastante il lago, dove stava in contemplazione e preghiera, tra mortificazioni, digiuni e attività di sostegno alla popolazione. Quando infatti questi ultimi gli portavano in offerta dei pesci, li distribuiva tra la gente, che pativa gli stenti. Si narra che egli compisse miracoli e prodigi, che gli valsero la venerazione e l’amore dei gardesani: come aver restituito la vita a due morti, l’aver visto Cristo con gli Apostoli sotto forma di poveri e, mentre portava loro in dono dei pani, questi furono cambiati in pietre preziose. Alla sua voce ubbidivano gli uccelli, i pesci e gli animali terrestri (parlava con gli animali come San Francesco).
Emblema: Bastone pastorale
Santi FAUSTINO e GIOVITA, martiri.
Morti tra il 120 e il 134 al tempo di Adriano.
Ricorrenza: 15 febbraio.
Patroni della diocesi di Brescia
Secondo la «Legenda Maior», erano entrambi figli di una nobile famiglia pagana di Brescia. Intrapresero presto la carriera militare e divennero cavalieri, inseriti in una posizione di rango nella provincia dell’antico Impero Romano. Attratti dal cristianesimo, furono convertiti, in seguito ad una lunga frequentazione col vescovo S. Apollonio, ottenendo il battesimo, che li accolse nella comunità dei primi cristiani bresciani. Si impegnarono a fondo all’evangelizzazione delle terre bresciane e per il loro zelo, il vescovo Apollonio nomina Faustino presbitero e Giovita diacono.
L’efficacia della loro predicazione sollevò l’avversità dei pagani, tra cui molti potenti della città, che temevano la diffusione del Cristianesimo, tanto più se promossa negli ambienti di elevata posizione civile e militare, e invitano il governatore ad eliminare i due, col pretesto del mantenimento dell’ordine pubblico e nemici della religione pagana. Diversi eventi miracolosi li risparmiano dalla morte e spingono numerosi pagani – tra cui anche la moglie di Italico, Afra, a convertirsi. Portati a Milano, Roma e Napoli furono quindi condannati a morte e riportati a Brescia dove il 15 febbraio (tra il 120 e il 134) furono decapitati, poco fuori di Porta Matolfa. precisamente all’altezza dell’attuale Via F. Crispi.
Faustino e Giovita furono sepolti nel vicino cimitero cristiano di S. Latino dove il vescovo S. Faustino (un altro santo col nome Faustino) costruirà la chiesa di S.Faustino ad Sanguinem, chiamata poi sant’Afra e oggi sant’Angela Merici. Le maggiori reliquie sono conservate nella chiesa madre di Pietradefusi (Avellino), città di cui è pure protettore.
Il loro culto si diffuse verso l’VIII° secolo, prima a Brescia e poi per mezzo dei longobardi in tutta la penisola ed in particolare a Viterbo.
Il loro patronato su Brescia fu confermato in seguito ad un evento straordinario di una visione dei due santi che combattevano al fianco dei bresciani contro i milanesi, nello scontro decisivo che fece togliere l’assedio alla città, il 13 dicembre 1438.
Alcune loro reliquie sono venerate nella chiesa omonima a Brescia.
Emblema: raffigurati spesso in veste militare romana con la spada in un pugno e la palma del martirio nell’altra, in altre raffigurazioni sono in vesti religiose.
Secondo la leggenda durante la traslazione dal cimitero della chiesa di S. Faustino ad Sanguinem alla chiesa di S. Faustino Maggiore, i corpi dei santi avrebbero sostato temporaneamente nel luogo ove oggi sorge la chiesa di S. Faustino in Riposo o chiesa di Santa Rita e avrebbero trasudato sangue, convincendo l’incredulo duca Namo di Baviera alla conversione.
S. FILASTRIO, vescovo di Brescia (IV° secolo) Padre della Chiesa.
Nacque intorno al 330 ma non si sa dove, c’è chi ipotizza che fosse italiano, spagnolo o egiziano.
Deceduto a Brescia il 18 luglio, ma non si conosce la data. Alcuni calcoli incrociati con i dati di S. Ambrogio e S. Gaudenzio, fanno supporre che sia morto attorno all’anno 387.
Ricorrenza: 18 luglio
Le reliquie sono venerate nella cripta del duomo vecchio di Brescia.
S. Filastrio lasciò la sua terra e la famiglia dopo essere stato consacrato sacerdote all’età di 30 anni e prese a predicare un po’ dovunque la parola di Dio.
Si sa che visse per un certo tempo a Milano prima che S. Ambrogio (340-397) diventasse vescovo e si oppose con decisione al vescovo ariano Aussenzio I° (355-374), poi si spostò a Roma dove con le sue argomentazioni convertì molti alla fede cattolica. Predicò contro gli ariani in Lombardia e a Roma, entrando in rapporti con sant’Ambrogio e sant’Agostino, che lo cita nelle sue opere contro gli eretici, ed afferma di averlo visto fra il 384 e 387, varie volte, ospite di S. Ambrogio a Milano.
Diventò vescovo all’età di 50 anni, non si sa di preciso l’anno, ma nel 381 era già vescovo di Brescia, perché partecipò al Concilio di Aquileia.
La vita e morte furono lodate da san Gaudenzio, suo successore, è questa la maggiore, se non l’unica, fonte che parla della sua vita. Nell’omelia di S. Gaudenzio citata sopra, è detto che S. Filastrio aveva uno spirito ardente, dolcezza e estrema moderazione, molta scienza, costumi santi, una sublime umiltà, rivolto alle cose celesti non dava valore alle cariche terrene. Il servizio del Signore lo occupava continuamente, non si adirava ma sempre pronto a comprendere e giustificare. Amava i più piccoli e gli umili, con tutti era amabile e riconoscente.
Risulta che San Filastrio abbia composto, un catalogo di 136 eresie.
S. FRANCESCO D’ASSISI, fondatore dei frati minori.
Assisi, 1181/2 – Assisi 1226.
Ricorrenza: 4 ottobre
S. Francesco (si chiamava Giovanni) nacque ad Assisi nel 1182, era figlio di un mercante,da giovane aspirava ad entrare nella cerchia dei nobili cittadini. Per questo motivo ricercò la gloria nelle imprese militari. Dopo una spensierata gioventù, si convertì ad una vita evangelica per servire Gesù Cristo, che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati. Si diede quindi a una vita di penitenza e solitudine in totale povertà; indossava una veste ruvida a forma di croce, cinta da una corda, con un cappuccio da contadino e predicava al popolo. Suscitò numerosissimi seguaci che unì a sé in una comunità; Papa Innocenzo III ne approvò la regola con il nome di “Frati Minori”. Nei suoi viaggi itineranti Francesco predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole, come nelle azioni, la perfetta sequela di Cristo, tanto che volle morire giacendo sulla nuda terra.
Nel 1205 un crocifisso nella chiesa di San Damiano in Assisi lo esortò a riparare la sua chiesa in rovina. Nel 1223 rievocò la nascita di Cristo nella grotta di Greccio, inventando il presepe e nel 1224 ricevette le stimmate.
Fu canonizzato da Papa Gregorio IX il 16 luglio 1228, fu proclamato Patrono d’Italia unitamente a Santa Caterina da Siena.
Patronato: Italia, scout, ecologisti, animali, uccelli, commercianti e floricoltori.
Attributi: veste dei frati minori, crocifisso, stimmate.
S. FRANCESCO DI SALES, vescovo di Ginevra.
Thorens (Savoia) 1567 – Lione (Francia) 1622.
Ricorrenza: 24 gennaio
Proclamata Dottore della Chiesa nel 1877 da Papa Pio IX.
Francesco di Sales si formò alla cultura classica e filosofica alla scuola dei Gesuiti, Ordinato sacerdote, nel 1593, si dedicò completamente all’apostolato cattolico nei paesi protestanti. Vero pastore d’anime, con la sua saggezza pastorale e la sua dolcezza ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli da essa separati.
Fu uno dei grandi maestri di spiritualità degli ultimi secoli.
Prediligendo il metodo del dialogo: inventò i cosiddetti «manifesti», sue sono più di 30 mila lettere utilizzate per incontrare i molti che non avrebbe potuto raggiungere con la sua predicazione, affiggendoli ai muri di città e paesi e mettendoli sotto gli usci delle case. “manifesti”, composti in agile stile di grande efficacia.
Predicatore instancabile, scrisse moltissimo, sfruttò il suo talento di scrittore, per diffondere il più possibile gli insegnamenti del Vangelo e spiegare le meraviglie della dottrina e della spiritualità cattolica. Due sue opere, veri e propri capolavori di spiritualità, sono ritenuti scritti essenziali della letteratura religiosa e hanno formato generazioni di santi e di ferventi cristiani.
Dall’incontro con la signora di Charmoisy trarrà spunto per scrivere uno dei libri più letti nell’età moderna l’introduzione alla vita devota ”Filotea”. Scrisse altre opere ascetico-mistiche, dove propone una via di santità accessibile a tutte le condizioni sociali, fondata interamente sull’amore di Dio.
Disse di lui san Vincenzo de’ Paoli: “coloro che l’ascoltavano pendevano dalle sue labbra”.
Fondò, insieme a Santa Giovanna Fremyot de Chantal, l’Ordine della Visitazione.
Patronati: degli scrittori e dei giornalisti.
Emblema: bastone pastorale.
S. GELTRUDE (Caterina Comensoli), vergine.
Caterina nata a Bienno (Val Camonica) nel 1847 mori nel 1903 a 56 anni a Bergamo.
Ricorrenza: 18 febbraio
Proclamata Santa nel 2009 da Papa Benedetto XVI.
Il suo corpo è venerato nella chiesa della Casa Generalizia delle Suore Sacramentine a Bergamo.
Caterina cresce in una famiglia con dieci fratelli e sorelle, vive un’infanzia serena e riceve la prima Comunione precocemente a sei anni.
Di famiglia povera, molto religiosa e credente Caterina, è assidua e vivace nella catechesi e nell’oratorio parrocchiale. In questa atmosfera di fede resta colpita dal racconto della Presenza di Gesù nell’Eucaristia, approfondisce questo mistero con l’aiuto di validi confessori, tanto da desiderare fortemente di fondare un Istituto che abbia come primo intendimento quello di adorare questo insondabile mistero.
Caterina nel 1866 entra nella Compagnia di Sant’Angela Merici e diventa maestra del gruppo di novizie della Compagnia di Bienno.
Ammalatosi il padre nel 1869, per portare aiuto alla famiglia lascia, la Compagnia di Sant’Angela Merici a Bienno e inizia a lavorare come domestica e dama di compagnia.
Fattasi ormai donna saggia, portata a una spiritualità profonda ed a una crescente attenzione alle necessità educative delle “giovinette”, ai poveri e ai malati, matura sempre più in lei l’idea di fondare un Istituto dedito all’Adorazione e all’Educazione dei piccoli e dei giovani, cosa che si concretizza con l’incontro a Bergamo del sacerdote don Francesco Spinelli. Dal 1879 al 1882 il progetto, si precisa che, dopo essere stato sottoposto al vescovo di Bergamo, nel 1882 nasce l’Istituto delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento (da cui ebbe origine anche quello delle Suore Sacramentine) e la fondatrice sceglie per sé il nome di Geltrude.
La finalità dell’Istituto è duplice: “Adorare Gesù in Sacramento e Attendere ad opere di carità verso il prossimo avendo di mira specialmente l’educar la gioventù”.
Santa Geltrude, prima della sua morte, lascia aperte 16 case e l’Istituto con 179 suore; assistono: le operaie, le orfane, le ragazze coatte minorenni, gli studenti nei pensionati, gli anziani nei ricoveri, i malati. Inoltre operano nelle parrocchie e negli oratori, aprono scuole di studio e di lavoro, doposcuola, insegnano in diverse scuole comunali.
Dal primo nucleo di Bergamo l’istituto si espande alle altre città della Lombardia e del Nord Italia.
S. GEMMA GALGANI
Borgo nuovo di Camigliano (Lucca) 1878 – Lucca 1903
Ricorrenza: 11 aprile giorno della morte, sebbene venga ricordata dall’ordine passionista e dall’arcidiocesi di Lucca il 16 maggio.
Fu canonizzata il 2 maggio 1940 da Papa Pio XII che la definì la “stella” del suo pontificato e la additò a modello della Chiesa universale, Ne dichiarò le virtù eroiche e la sua totale incapacità di inganno.
Gemma Umberta Maria Galgani quinta di otto tra fratelli e sorelle, nasce da una famiglia molto religiosa e benestante, il padre fu farmacista, ma la sua ingenuità negli affari gli causò gravi problemi finanziari che, dopo la morte prematura della moglie, ridussero in povertà la famiglia. Gemma rimase orfana a soli sette anni, non prima però d’aver da lei ricevuto una forte e pia educazione spirituale. Nel 1895 la giovane ricevette l’ispirazione a seguire con impegno e decisione la via della croce. Iniziò allora ad avere visioni del suo angelo custode.
Nel 1897 morì anche il padre e la famiglia divenne ancora più misera. Per circa un anno Gemma si trasferì a Camaiore, presso una zia che l’aveva voluta con sé, ma nell’autunno 1899 si ammalò gravemente e ritornò in famiglia. Furono mesi di grandi sofferenze per tutti perché le ristrettezze economiche si facevano sentire penosamente sulla famiglia. Nel periodo della malattia, Gemma ebbe modo di leggere la biografia del venerabile passionista Gabriele dell’Addolorata (ora santo) e se ne innamorò tanto da cominciare ad averne apparizioni.
A 20 anni sviluppò la meningite spinale e si aggravò fino alla paralisi delle gambe e fu affetta anche da un’otite purulenta. In quei giorni di dolore la giovane fu confortata dalle visioni del venerabile Gabriele e del suo angelo custode, ma fu anche tentata dal demonio, che riuscì a vincere con l’aiuto del venerabile Gabriele, sua guida spirituale.
Nel frattempo la giovane maturò la decisione di dedicarsi completamente al Signore.
l’8 giugno, 1899 vigilia della festa del Sacro Cuore di Gesù, Gemma ebbe una visione di Maria, dell’angelo custode e di Gesù; mentre era in preghiera le appare Gesù sofferente coperto di piaghe dalle quali, non esce sangue, ma fiamme che vanno a toccarle le mani, i piedi e il costato, fu il dono delle stimmate. Da quel giorno il fenomeno si sarebbe ripetuto ogni settimana, dalla sera del giovedì al venerdì pomeriggio, ricordando le ore della Passione di Cristo. Per via della salute che si andava indebolendo, il suo confessore le consigliò di pregare perché le stigmate scomparissero. Lei seguì le direttive del sacerdote, e i segni si estinsero rapidamente.
Il 2 febbraio 1900 i medici la diedero per spacciata. Gemma trascorreva ormai le giornate in preghiera, tra indicibili sofferenze: costretta a letto. Le furono somministrati gli ultimi sacramenti ma era ancora cosciente. Tuttavia il 3 marzo, dopo aver terminato una novena in onore della beata Margherita Maria Alacoque (ora santa) guarì miracolosamente, fu allora che iniziò ad aspirare di entrare in convento ma fu rifiutata dai monasteri della città perché bisognava avere il consenso dell’arcivescovo, ma lui glielo nega; probabilmente perché considera d’impedimento le sue condizioni di salute. Venne accolta dalla famiglia Giannini, per circa quattro anni fino alla morte. la sua salute peggiora e le viene diagnosticata la tubercolosi; nel frattempo le estasi e le visioni miracolose continuarono frequenti. Di tutte le estasi, le visioni e le stimmate, potè essere testimone Cecilia Giannini.
Nel maggio del 1902 si ammalò di tisi e per scongiurare contagi Gemma dovette essere trasferita in un altro appartamento, fortemente tentata dal demonio, non smarrì mai la fede e fu assistita amorevolmente dalla famiglia Giannini.
Prima di morire, prese il crocifisso tra le mani e, tenendolo all’altezza degli occhi, disse guardandolo: “Vedi, o Gesù ora non ne posso più davvero; se è la tua volontà, pigliami”. Poi alzò lo sguardo a un quadro della Madonna appeso al muro e soggiunse: “Mamma, raccomando l’anima mia a te, di’ a Gesù che mi usi misericordia”.
S. GENNARO, vescovo e martire (sec. IV).
Napoli? III sec. – Pozzuoli 305.
Ricorrenza: 19 settembre
Vescovo di Benevento, nel 305 a Pozzuoli rifiutò di sacrificare agli idoli, perciò fu decapitato. I cristiani di Napoli trafugarono il suo corpo e lo seppellirono nella zona detta Fuorigrotta. la sua nutrice ne raccolse il sangue e lo conservò in ampolle. Dall’eruzione del Vesuvio del 472, quando si rifugiarono presso la sua tomba, i napoletani scelsero Gennaro come patrono e ogni anno ammirano il prodigio della liquefazione del Suo Sangue, il 19 settembre e la prima domenica di maggio.
Nel Duomo di Napoli sono conservate le due ampolle che contengono il sangue del Santo allo stato solido. Il sangue si liquefà a diverse temperature e in alcuni momenti ben precisi dando origine al “Miracolo di San Gennaro”. Questo fenomeno si ripete a maggio, il 19 settembre che è il giorno del martirio del Santo e il 19 dicembre, anniversario dell’eruzione del Vesuvio del 1631.
Attributi: viene raffigurato con la mitra e la mano destra alzata in segno di benedizione. Quasi sempre sullo sfondo viene raffigurato il Vesuvio in eruzione.
S. GIANNA BERETTA coniugata MOLLA. Laica.
Pediatra e madre di famiglia.
Magenta-Milano 1922 – 1962
Ricorrenza: 28 aprile
Fu canonizzata nel 2004 da Papa Giovanni Paolo II.
Riposa nella cappella della Famiglia Molla al cimitero di Mesero. La sua tomba, è ancora oggi meta di pellegrinaggi e a lei è stato dedicato il “Santuario diocesano della famiglia e centro di spiritualità nella città – Santa Gianna Beretta Molla”.
Gianna nacque, da genitori cristiani praticanti e terziari francescani. La famiglia di origini veneziane, dal Seicento si era stabilita a Magenta, dove si era ben presto radicata, dando alla città addirittura un parroco, sette presbiteri e diversi notai.
Penultima degli otto figli sopravvissuti della famiglia Beretta, di cui tre abbracciarono in seguito la vita religiosa.
Battezzata il giorno stesso della sua nascita, Visse a Milano fino ai 18 anni. Lì frequentò la Chiesa dei Padri Cappuccini. Nel 1925, dopo la morte di alcuni fratelli si trasferì a Bergamo.
Medico chirurgo nel 1949 e specialista in pediatria nel 1952, dall’alto spessore umano e spirituale. Continua però a curare tutti, specialmente chi è vecchio e solo. «Chi tocca il corpo di un paziente – diceva – tocca il corpo di Cristo».
Limpida e graziosa. Così appare la dottoressa Gianna Beretta all’ingegnere Pietro Molla nei primi incontri.
Nel 1955 si sposano e vivono a Ponte Nuovo di Magenta, e lei arricchisce di novità gioiose anche la vita della locale Azione cattolica femminile. Dal 1956, svolse il compito di responsabile del Consultorio delle mamme e dell’asilo nido facenti capo all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia e prestò assistenza medica volontaria nelle scuole materna ed elementare di stato.
La nascita di tre figli rende la vita di Giovanna Beretta ancora più gioiosa e colma d’amore. Alla quarta gravidanza, ecco la scoperta di un fibroma all’utero, con la prospettiva di rinuncia alla maternità per non morire. Mettendo al primo posto il diritto alla vita, Gianna decide di far nascere Gianna Emanuela, anteponendo amorevolmente la libertà e la salute del nascituro alla propria stessa vita. Con grandi fatiche porta a termine la gestazione, preferendo morire anziché accettare cure che arrecassero danno al feto.
S. GIOVANNA D’ARCO Vergine.
Detta la pulzella d’Orléans.
Domrémy, Francia, 1412 circa – Rouen, Francia, 1431
Ricorrenza: 30 maggio
Proclamata Santa nel 1920 da Papa Benedetto XV. In un connubio di patriottismo e misticismo insieme.
Figlia di contadini, analfabeta, nel 1429, lasciò giovanissima la casa paterna per seguire il volere di Dio, rivelatole da voci misteriose, secondo il quale avrebbe dovuto liberare la Francia dagli Inglesi.
Presentatasi alla corte di Carlo VII, convince il re di poter cavalcare alla testa di un’armata e, incoraggiando le truppe con la sua ispirata presenza, riuscì a liberare Orleans dal dominio inglese.
Dopo molti successi, il 17 luglio di quell’anno conduce Carlo VII a Reims, dove è incoronato re.
Lasciata sola per la diffidenza della corte e del re, Giovanna non poté condurre a termine, secondo il suo progetto, la lotta contro gli Anglo-Borgognoni; fu dapprima ferita alle porte di Parigi e nel 1430, mentre marciava verso Compiegne, in Borgogna, vittima di un’imboscata ordita ai suoi danni, Giovanna è arrestata e venduta agli Inglesi. Tradotta a Rouen (in Normandia) davanti a un tribunale di ecclesiastici, tra molte sofferenze, estenuanti interrogatori, ed un sommario e iniquo processo, il 30 maggio 1431 fu condannata per eresia e bruciata viva sul rogo a Rouen.
Dopo la revisione del processo nel 1456 e l’assoluzione dell’imputata da parte del papa Callisto II, si afferma il culto dell’eroica Giovanna, testimone del coraggio, dell’amore per la giustizia e per la verità spinto fino alla morte
Patronato: Francia, Radiofonisti, Telegrafisti
Emblema: Corona d’oro, Gigli, Spada
S. GIOVANNI BATTISTA MONTINI (Papa PAOLO VI°).
Nato a Concesio (Bs) 1897 – deceduto a Roma 1978.
Ricorrenza: 26 settembre
Proclamato Santo il 14 ottobre 2018 da Papa Francesco.
La vocazione al sacerdozio non fu folgorante, ma graduale, frequentando sacerdoti e respirando il clima religioso della sua famiglia. Ebbe come padre spirituale l’oratoriano padre Giulio Bevilacqua. Frequentando da esterno il Seminario bresciano, per motivi di salute, con l’aggiunta di un lungo esaurimento nervoso; giunse ad essere ordinato sacerdote nel 1920 e il vescovo decise per lui la destinazione per Roma; prima si laureò in cinque mesi, a Milano in Diritto Canonico, poi nell’autunno del 1920, arrivò a Roma, e si mise subito all’opera iscrivendosi alla “Gregoriana” per la Teologia e contemporaneamente all’Università Statale, alla Facoltà di Lettere. E nel giugno 1921 con pochi effetti personali e tanti libri si trasferì in Vaticano, si laureò in Teologia, conseguì il Diploma dell’Accademia per la diplomazia, ma dovette lasciare la Statale e il suo desiderio di laurearsi in Lettere.
Nel 1923 inizia la carriera diplomatica presso la Segreteria di Stato di Sua Santità.
Nominato arcivescovo partì da Roma il 6 gennaio 1954, per la grande diocesi ambrosiana. Nella diocesi di Milano, Montini trovò una situazione socio-politica in piena evoluzione, si era nel periodo della ricostruzione civile e industriale post-bellica.
Eletto papa, Giovanni XXIII, come suo primo scritto inviò una lettera all’arcivescovo di Milano per comunicargli la sua intenzione di nominarlo cardinale e lo mandò in giro per il mondo a rappresentarlo, gli fece conoscere ed approfondire il mondo di altre religioni. E così dopo il breve pontificato di papa Giovanni, alla sua morte, nel 1963, veniva eletto Papa, Giovan Battista Montini, con il nome di Paolo VI. Toccò a lui continuare il Concilio inaugurato da papa Giovanni XXIII e concluderlo solennemente l’8 dicembre 1965; il compito più immane fu quello di promulgare e attuare i decreti rivoluzionari per la Chiesa, che ne scaturirono. Scrisse encicliche basilari per la dottrina della Chiesa, come l’ ”Ecclesiam suam”, la “Misterium fidei”, la “Populorum progressio”, l’ ”Humanae vitae”, quest’ultima sul controllo delle nascite e sulla “Paternità responsabile”, che tante polemiche suscitò.
Dopo secoli fu il primo papa ad uscire dall’Italia; si recò in Palestina nel 1964, suscitando un grande entusiasmo, Incontrò il patriarca ortodosso Atenagora, dopo 14 secoli un papa e un patriarca si incontravano dopo lo scisma; nel 1967 andò ad Istanbul andando così incontro alla Chiesa d’Oriente. Abolì stemmi, baldacchini, la tiara pontificia, i flabelli bizantini delle fastose cerimonie pontificie, la sedia gestatoria, le guardie nobili, i cortei di armigeri, il trono fu sostituito da una poltrona, la Guardia Palatina; con suo decreto stabilì che i cardinali dopo gli 80 anni non potevano entrare in conclave. Il 1 gennaio 1968 celebra la prima giornata della Pace.
S. GIOVANNI BATTISTA PIAMARTA, sacerdote ed educatore. apostolo della carità e della gioventù.
Nato a Brescia, 1841 – morto a Remedello, Brescia 1913.
Ricorrenza: 26 aprile.
Proclamato Santo nel 2012 da Papa Benedetto XVI.
Nacque da una famiglia povera e, rimasto orfano di madre a 9 anni, crebbe nei vicoli dei rioni popolari della città, trovando un sostegno educativo nel nonno materno e nell’oratorio che affinarono la sua sensibilità e la sua straordinaria generosità. Grazie al parroco di Vallio Terme (Bs) poté entrare nel seminario diocesano.
Ordinato sacerdote nel 1865, iniziò il suo ministero sacerdotale a Carzago Riviera, Bedizzole; fu nominato, poi parroco della chiesa di Sant’Alessandro in Brescia ed in seguito a Pavone Mella.
Le prime esperienze oratoriane furono per lui una preziosa possibilità di conoscere da vicino la gioventù alle prese con il duro mondo delle fabbriche. Nei 13 anni di fecondo apostolato colse risultati ammirabili.
Lasciò la parrocchia di Pavone Mella per tornare a Brescia, dove si dedicò a realizzare un’opera da tempo pensata e sognata “l’istituto Artigianelli”, opera per venire incontro alle esigenze dei giovani e fornire loro una formazione religiosa insieme all’apprendimento di un mestiere, riflettendo sull’abbandono spirituale e la perdita della fede di tanti giovani che confluivano in città per motivi di lavoro.
L’Istituto Artigianelli, raccoglieva l’eredità dell’istituto dei Figli di Maria Immacolata fondato da Lodovico Pavoni. Per continuare l’opera, diede vita a una Pia società di sacerdoti, chierici e fratelli ed una congregazione femminile, le Povere Serve della Sacra Famiglia di Nazareth. la sua Opera si è estesa anche all’estero, conta molte Case e centinaia di membri.
Egli, poverissimo ma fiducioso nella provvidenza, fondò l’Istituto Artigianelli nel 1886, con l’aiuto del sacerdote mons. Pietro Capretti. Dal 1888 la crescita degli “Artigianelli” non si fermò più, si moltiplicarono i fabbricati ed i laboratori.
Pochi anni dopo, rivolse la sua sollecitudine anche al mondo dell’agricoltura, dando origine, con padre Giovanni Bonsignori, alla colonia agricola di Remedello (Bs), con lo scopo di ridare vitalità e dignità all’agricoltura.
Nel 1926 la sua salma venne traslata nella chiesa dell’Istituto Artigianelli a Brescia.
S. GIOVANNI CRISOSTOMO O GIOVANNI D’ANTIOCHIA, vescovo.
Antiochia, 344/354 circa– Comana sul Mar Nero 407.
La sua eloquenza, le sue doti retoriche nell’omiletica gli valsero l’epiteto (Crisostomo), letteralmente «bocca d’oro».
Ricorrenza: 13 settembre
Proclamato Dottore della Chiesa nel 1568 da Papa Pio V.
Educato dalla madre, S. Antusa, Giovanni negli anni giovanili condusse vita monastica in casa propria. Poi, mortagli la madre, si recò nel deserto e vi rimase per sei anni, dei quali gli ultimi due li trascorse in solitario ritiro dentro una caverna, Chiamato in città e ordinato diacono, dedicò cinque anni alla preparazione al sacerdozio e al ministero della predicazione. Ordinato sacerdote dal vescovo Fabiano, ne diventò collaboratore nel governo della chiesa antiochena.
Grande predicatore, nel 398 fu chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla cattedra di Costantinopoli, mostrandosi ottimo pastore e maestro di fede. L’attività di Giovanni fu apprezzata e discussa: evangelizzazione delle campagne, creazione di ospedali, processioni anti-ariane sotto la protezione della polizia imperiale, sermoni di fuoco con cui fustigava vizi e tiepidezze, severi richiami ai monaci indolenti ed agli ecclesiastici troppo sensibili alla ricchezza. La sua personalità è quella di un uomo innamorato della morale, desideroso di riformare la vita cristiana, secondo l’ideale delle primitive comunità cristiane. Il suo zelo e il suo rigore furono causa di forti opposizioni alla sua persona. Deposto illegalmente da un gruppo di vescovi ed esiliato, venne richiamato quasi subito dall’imperatore Arcadio. Ma due mesi dopo era di nuovo esiliato, richiamato per decreto del papa sant’Innocenzo I°, durante il viaggio di ritorno, subendo molti maltrattamenti da parte dei soldati di guardia, rese l’anima a Dio.
Emblema: bastone pastorale.
S. GIOVANNI DAMASCENO, teologo.
Nato a Damasco (da cui Damasceno) in Siria, 650-676 circa –morto a Mar Saba vicino a Gerusalemme 749.
Ricorrenza: 4 dicembre
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Leone XIII nel 1890.
Nato da famiglia araba di fede cristiana, suo padre era ministro delle finanze. Colto e brillante, divenne consigliere ed amico del Califfo. La frequentazione del monaco siciliano Cosmo, portato schiavo a Damasco, determinò in lui il desiderio di ritirarsi a vita solitaria. Andò a vivere nella «laura» di San Saba, piccolo villaggio di monaci a Gerusalemme, dove ricevette l’ordinazione sacerdotale, e in virtù della sua profonda preparazione teologica, ebbe l’incarico di predicatore titolare nella basilica del Santo Sepolcro. Giovanni Damasceno, lottò strenuamente con la parola e con gli scritti contro l’imperatore Leone III°, in difesa del culto delle sacre immagini.
Giovanni Damasceno fu tra i primi a distinguere, nel culto dei cristiani, l’ adorazione dalla venerazione: la prima si può rivolgere soltanto a Dio, la seconda invece può utilizzare un’immagine per rivolgersi a colui che viene rappresentato nell’immagine stessa. Ovviamente, il Santo non può in nessun caso essere identificato con la materia di cui l’icona è composta. In collegamento con queste idee di fondo, Giovanni pone anche la venerazione delle reliquie dei santi.
Tra le sue opere accanto agli inni e ai trattati teologici dedicati alla Madonna, si ricordano soprattutto i tre Discorsi contro coloro che calunniano le sante immagini. In questi testi è possibile rintracciare i primi tentativi teologici di legittimazione della venerazione delle immagini sacre, collegando queste al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio nel seno della Vergine Maria.
Scrive il Damasceno: “In altri tempi Dio non era mai stato rappresentato in immagine, essendo incorporeo e senza volto. Ma poiché ora Dio è stato visto nella carne ed è vissuto tra gli uomini, io rappresento ciò che è visibile in Dio. Io non venero la materia, ma il creatore della materia….”
Attributi: Viene raffigurato a volte monaco o con una linea rossa attorno al polso destro. Il turbante indica la sua origine siriaca.
S. GIOVANNI D’AVILA, teologo e grande umanista.
Almodóvar del Campo (Spagna), 1499 – Montilla (Spagna), 1569.
Ricorrenza: 10 maggio
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI nel 2012.
Profondo conoscitore delle Sacre Scritture, seppe penetrare con profondità i misteri della Redenzione.
Dopo l’ordinazione, l’Arcivescovo di Siviglia vuole tenerselo in Diocesi come predicatore e lui accetta, dopo aver distribuito tutti i suoi beni ai poveri. Lo chiamano un po’ tutti, “Maestro Avila”.
Giovanni, sospettato d’eresia, finì in carcere e quando poi lo lascia (assolto), ha già in mano la prima parte della sua opera dottrinale più nota “Audi, filia”, un trattato sulla Redenzione. E’ il tempo della Riforma luterana, Giovanni v’interviene con documenti imperniati soprattutto sulla formazione dei sacerdoti (istituzione dei seminari) e sul dovere dei Vescovi di risiedere nelle loro diocesi.
S. GIOVANNI DELLA CROCE (Juan de Yepes Álvarez), detto Doctor Mysticus.
Sacerdote e poeta. Patrono dei Poeti e dei mistici.
Fontiveros (Spagna), circa 1540-1542 – Ubeda (Spagna) 1591.
Ricorrenza: 14 dicembre
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Pio XI nel 1926.
Rimasto orfano di padre, dovette trasferirsi con la mamma da un luogo all’altro, mentre portava avanti come poteva i suoi studi.
Nel 1563 entrò nell’Ordine Carmelitano chiedendo di vivere senza attenuazioni la rigida e antica regola carmelitana non più attuata. Nel 1567 dopo gli studi di filosofia e teologia fu ordinato sacerdote e nello stesso anno incontrò Teresa d’Ávila che da poco aveva ottenuto il permesso per la fondazione di due conventi di Carmelitani contemplativi (poi detti Scalzi). Conquistato dalle sue idee riformatrici ne appoggiò in pieno il progetto, fu il primo tra i frati ad aggregarsi alla riforma dell’Ordine.
Il 28 novembre 1568 Giovanni fece parte del primo nucleo di riformati a Duruelo cambiando il nome di Giovanni di S. Mattia in quello di Giovanni della Croce. Tra le varie sofferenze, fisiche e spirituali, che ebbe a sperimentare a seguito della sua adesione alla riforma, spicca in particolare l’arresto e la carcerazione il 2 dicembre 1577, per un incidente, nel monastero di Ávila, di cui venne ritenuto erroneamente colpevole. Rimase rinchiuso per più di otto mesi, trovando peraltro l’ispirazione per comporre alcuni dei suoi poemi mistici più noti. Riuscì alla fine a fuggire, il 17 agosto 1578. Riprese gradualmente, dopo il carcere, diversi incarichi importanti, nell’ordine carmelitano riformato, che aveva acquisito progressivamente autonomia. Nel 1584 terminò a Granada la prima redazione del Cantico Spirituale, mentre in questi anni scrisse e perfezionò i suoi principali trattati spirituali.
I suoi scritti vennero pubblicati per la prima volta nel 1618.
Emblema: raffigurato in contemplazione della croce.
S. GIOVANNI DIEGO DI GUADALUPE
San Juan Diego Cuauhtlatoatzin, Laico.
Veggente di Guadalupe e contadino.
Nato nel 1474 circa – morto a Città del Messico 1548.
Ricorrenza: 9 dicembre – data della prima apparizione della Madonna (mentre il 12 dicembre, giorno dell’ultima, si festeggia la Madonna di Guadalupe).
Il suo nome Cuauhtlatoatzin significa in lingua azteca “colui che grida come un’aquila”. Contadino di un modesto villaggio, nel 1524, fu uno dei primi indios convertito al Cristianesimo a ricevere il battesimo, all’età di cinquant’anni col quale assunse il nome cristiano di Juan Diego; con lui fu battezzata la moglie Malintzin col nome di Maria Lucia.
Rimasto vedovo dopo solo quattro anni di matrimonio, orientò tutta la sua vita a Dio.
Secondo la tradizione, nel dicembre 1531 la Madonna apparve a Guadalupe, scegliendo come suo interlocutore un povero indio, dotato di fede purissima, Juan Diego. L’apparizione avvenne tra il 9 e il 12 dicembre sulla collina di Tepeyac vicino a Città del Messico.
Giovanni Diego Cuauhtlatoatzin, con la sua umiltà e il suo fervore fece sì che si edificasse sul luogo, dove Ella apparve a Lui, dapprima una cappella, quindi un grande santuario, la Basilica di Nostra Signora di Guadalupe.
In essa è conservata la veneratissima immagine della Madonna di Guadalupe, che secondo la tradizione si sarebbe impressa miracolosamente sul mantello di Juan Diego.
Dopo questi fatti, Juan Diego si ritirò e visse santamente in penitenza e orazione, in una piccola casa che il vescovo Zumàrraga gli aveva fatto costruire a fianco della cappella santuario. Qui visse per 17 anni fino alla morte.
Proclamato Santo da papa Giovanni Paolo II nel 2002, in occasione della sua quinta visita pastorale in Messico.
Fu il primo Santo messicano, è chiamato ambasciatore-messaggero di Santa Maria di Guadalupe.
S. GIROLAMO (O GEROLAMO), Padre della Chiesa.
Sofronio Eusebio Girolamo nato a Stridone nell’odierna Croazia, ca. 340-347 – deceduto a Betlemme, 419/420.
Ricorrenza: 30 settembre
Proclamato Dottore della Chiesa nel 1298 da Papa Bonifacio VIII.
Girolamo, compì a Roma tutti gli studi e qui fu battezzato da papa Liberio all’età di circa 20 anni.
Rapito poi dal fascino di una vita di contemplazione, recatosi in Oriente, abbracciò la vita ascetica e condusse una vita di mortificazione estremamente dura. Fu ordinato sacerdote a patto di conservare la propria indipendenza come monaco dedicandosi allo studio dei libri sacri.
Tornato a Roma, divenne segretario di papa Damaso e, alla sua morte, tornò a Gerusalemme dove partecipò a numerose controversie per la fede, fondando poco lontano dalla Chiesa della Natività, il monastero in cui morì.
Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. La vasta preparazione letteraria consenti a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici come quelli sui libri dei Profeti. Scrittore infaticabile, grande erudito e ottimo traduttore, San Girolamo ha posto al centro della sua vita la Bibbia. Girolamo Sente che per avvicinare l’uomo alla Parola di Dio bisogna andare alla fonte e così, per la prima volta sulla base dei testi originali in greco e in ebraico e, grazie al confronto con precedenti versioni egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell’Antico Testamento. Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore della Bibbia: essa costituisce la cosiddetta “Vulgata”, il testo “ufficiale” della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo “ufficiale” della Chiesa di lingua latina. La fede è presentata come nessuno aveva fatto prima.
Emblema: Cappello da cardinale, Leone.
S. GIROLAMO MIANI (Emiliani), fondatore dei Somaschini.
Nasce a Venezia 1486- Somasca di Vercurago, Lecco 1537
Ricorrenza: 8 febbraio
Canonizzato da Papa Clemente XIII nel 1767.
Girolamo Miani, rampollo di una nobile famiglia, da giovane intraprese la carriera militare al servizio della Repubblica di San Marco. Dopo una giovinezza violenta, lussuriosa, fu gettato in carcere nel 1511 dai nemici. La sua vita da laico venne come «rifondata» nella notte del 27 settembre 1511, quando, dopo un sincero voto di cambiare condotta, fatto alla Madonna Grande di Treviso, per intercessione della Madre di Dio si trovò liberato dai ceppi della prigionia, poi consegnati da lui stesso all’altare della Vergine.
Colpito dalla condizione dei poveri durante la peste del 1528, dedica tutta la sua vita al loro servizio.
Provocato dalla povertà dilagante a Venezia, distribuisce i beni di famiglia ai derelitti e si avvicina all’opera caritativa di san Gaetano da Thiene. Quindi si consacra a Dio da laico e inizia a raccogliere orfani per sfamarli ed educarli nella sua scuola-bottega. Si stabilisce infine nel paesino di Somasca insieme ad altri compagni, alcuni dei quali sacerdoti, Fondando la Società dei Servi dei poveri, poi detti padri Somaschi. un’opera che continua ancora oggi, in Italia, ed in vari altri paesi; con l’intento di dedicarsi ai disagi sociali trascurati dalla società civile: orfani, prostitute e malati terminali.
Si dedicò, quindi, appieno, a tutti i miserabili, Essi intuirono il ruolo di promozione sociale delle scuole e ne aprirono di gratuite con un metodo pedagogico innovativo.
Girolamo fu tra i primi a occuparsi del recupero delle prostitute e un autentico imprenditore della carità: «Inventò, già nel Cinquecento, le prime scuole professionali. Pensava che ai ragazzi poveri si dovesse dare dignità anche con un mestiere per mantenersi».
Si prodigò in una carestia ed in un’epidemia di peste a Verona, Brescia, Como e Bergamo. Girolamo, contrasse il morbo mentre assisteva dei malati a Somasca e morì mentre assisteva i malati di peste.
ll santuario di San Girolamo Emiliani a Somasca di Vercurago, elevato a basilica da papa Giovanni XXIII nel 1958, fu costruita dopo la morte di Girolamo su una preesistente chiesetta, per custodire la Sua tomba e quella dei primi compagni. All’interno, si venerano in un’urna le ossa del Santo.
Patronato: Orfani, Gioventù abbandonata
Attributi: Libro, cranio, crocifisso, chiavi
S. GIUSEPPE, sposo della Vergine Maria e padre putativo di Gesù.
Vissuto nel I° Secolo
Ricorrenza: 19 marzo e 1° maggio
Giuseppe, nato dalla stirpe di Davide, è l’ultimo patriarca che riceve le comunicazioni del Signore attraverso l’umile via dei sogni. Egli collega Gesù, Re messianico, alla discendenza di Davide.
L’avventura umana di Giuseppe comincia con l’accettazione di prendere con sé Maria sua sposa e di diventare padre putativo del Figlio di Dio e disponibile a compiere il Suo volere. Fece come l’Angelo gli aveva detto.
Giuseppe è uomo giusto e fedele (Mt 1,19), quindi uomo di fede, che Dio ha posto a custode della sua Casa e della Sua famiglia.
È stato la figura terrena del Padre celeste.
In silenzio, con premura ed amore Giuseppe accolse, custodì e protetto con amore, Maria e Gesù bambino e partecipò così all’opera della redenzione. Fece da padre a Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre.
Giuseppe responsabile della formazione umana di Gesù, nel senso educativo e formativo, ha salvato Gesù bambino dalla persecuzione di Erode, affrontando il disagio della migrazione in Egitto e guidato con prontezza e coraggio la Sacra Famiglia nella fuga e nel ritorno dall’Egitto.
Ha salvato il Salvatore.
Patrono dei padri, dei falegnami e dei carpentieri.
Emblema: Gesù bambino, Giglio che allude all’elezione divina e alla castità delle sue nozze.
BEATO GIUSEPPE ANTONIO TOVINI, terziario francescano. Laico.
Nato a Cividate Camuno nel 1841, morì a Brescia nel 1897.
La sua salma nel 1922 fu solennemente traslata dal cimitero alla chiesa di S. Luca a Brescia luogo dove è venerato.
Ricorrenza: 16 gennaio
Beatificato a Brescia da Papa Giovanni Paolo II nel 1998.
Primo di sette fratelli, Riceve in famiglia la prima educazione cristiana, la sua passione per lo studio spinge la famiglia, che non è ricca, a iscriverlo al Collegio per giovanetti poveri di don Nicola Mazza a Verona.
Nel 1859 muore il padre e sei anni dopo la madre. A diciotto anni si trova orfano e con cinque fratelli minori da mantenere. Nonostante tutto nell’agosto 1865 riesce a laurearsi all’Università di Pavia nello stesso anno, a Lovere, comincia l’attività professionale. Due anni dopo si trasferisce a Brescia presso lo studio dell’avv. Giordano Corbolani, suo futuro suocero. Qui si svolgerà la sua attività professionale di avvocato e qui maturerà la sua vocazione al matrimonio contrastata, negli anni della giovinezza, da una fase d’incertezza fra lo stato religioso e quello matrimoniale. Voleva diventare missionario.
Nel 1875, sposerà Emilia Corbolani, da cui ebbe dieci figli, dei quali uno entrerà tra i padri Gesuiti e altre due si faranno religiose. Le lettere alla fidanzata e alla moglie, durante le numerose assenze da casa per motivi professionali e di apostolato, costituiscono una testimonianza di come Tovini avesse scelto il matrimonio come strumento di santificazione.
La sua brillante carriera lo porta presto a vedere i disagi e i problemi dei poveri, dei contadini, e soprattutto delle scuole.
Il terz’ordine francescano apparve al Tovini, fin dal principio della sua attività, come un provvido mezzo di santificazione e di apostolato. Si fece terziario nel 1882 e fu per otto anni ministro e maestro dei novizi.
Nei suoi 55 anni di vita fu un apostolo nei campi più diversi: la scuola, il giornalismo, le banche, la politica (fù sindaco della sua città). Fondatore di casse rurali, della Banca San Paolo di Brescia, del Banco Ambrosiano di Milano, del quotidiano «Il Cittadino di Brescia». Fu tra i promotori e poi presidente, del Comitato diocesano dell’Opera dei congressi.
Strenuo difensore dell’insegnamento religioso nelle scuole a tutela della fede e della morale dei giovani, aprì a Brescia molte scuole cristiane. Fondò il primo “Giardino d’infanzia” in seguito l’Istituto “Cesare Arici”, poi l’Istituto magistrale Leone XIII° per gli universitari e poi la rivista per gli insegnanti “La scuola Italiana moderna”.
Sua costante preoccupazione fu la difesa della fede, convinto che, come ebbe ad affermare in un congresso, “i nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi, con la fede non saranno mai poveri”.
S. GIUSEPPE MOSCATI, Laico.
Benevento 1880 – Napoli 1927
Ricorrenza: 12 aprile (16 novembre)
Dichiarato Santo il 25 ottobre 1987 da Papa S. Giovanni Paolo II.
Settimo dei nove figli di un magistrato, Giuseppe segue i trasferimenti del padre da Benevento ad Ancona e poi a Napoli, dove visse quasi sempre. Si iscrisse a medicina «unicamente per poter lenire il dolore dei sofferenti» e nel 1903 consegue la laurea a pieni voti.
Cortese, amabile ma austero, operò nella città di Napoli dove ebbe cura dei poveri, confortò i sofferenti, soccorse gli abbandonati. Manifestò una particolare devozione mariana venerando la Vergine del Silenzio: fece sua la fortezza di chi confida in Dio.
Da medico salvò alcuni malati durante l’eruzione del Vesuvio del 1906; prestò servizio negli ospedali riuniti in occasione dell’epidemia di colera del 1911; fu direttore del reparto militare durante la grande guerra. Negli ultimi dieci anni di vita prevalse l’impegno scientifico. Alla fine gli venne offerto di diventare ordinario, ma rifiutò per non dover abbandonare del tutto la prassi medica diceva: «Il mio posto è accanto all’ammalato!».
Straordinaria figura di laico cristiano, medico, ricercatore, insegnante. La verità fu la vera meta della sua vita, vissuta con limpida coerenza da uomo di scienza e fede alla luce del Vangelo di Cristo e al servizio al bene dell’uomo.
Mai venne meno la sua quotidiana e infaticabile opera di assistenza ai malati, per la quale non chiedeva alcun compenso ai più poveri e nel prendersi cura dei corpi accudiva al tempo stesso con grande amore anche le anime.
Quando il malato è lontano e povero, egli stesso gli dona anche il denaro; e l’aiuto spirituale durante le cure e dopo.
S. GREGORIO DI NAREK, monaco, teologo, poeta e scrittore.
Nato nella Regione di Andzevatsik, Turchia (allora Armenia), 944-951 – morì a Narek, Turchia (allora Armenia) circa (1003-1010).
Ricorrenza: 27 febbraio
Proclamato Dottore della Chiesa nel 2015 da Papa Francesco.
La Chiesa Armena lo annovera tra i Dottori. La Chiesa latina anch’essa ne riconosce la santità definendolo “Insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica”,
San Gregorio nacque da una famiglia di scrittori. Morta la madre mentre era ancora in tenera età, suo padre divenuto in seguito arcivescovo, lo affidò, insieme al fratello Giovanni, alla cugina Anania di Narek fondatrice della scuola e del villaggio.
Ben presto fu ordinato sacerdote e divenne abate del monastero di Narek, dove condusse una vita piena di umiltà e carità, impregnata di lavoro e di preghiera, animato da un ardente amore per Cristo e la sua Madre Santissima. Gregorio fu uno dei più importanti poeti della letteratura armena. Tra le sue opere si annoverano un Commentario al Cantico dei Cantici, numerosi panegrici (tra i quali uno in onore alla Madonna) ed una raccolta di novantacinque preghiere in forma poetica dette “Narek”, dal nome del monastero in cui visse. Alla morte venne sepolto nello stesso monastero e la sua tomba fu meta di pellegrinaggi.
Fedele alla tradizione della sua Chiesa, Gregorio fu un grande devoto della Vergine, egli la cantò con accenti ispirati. Tra le sue composizioni sono degne di nota il “Discorso panegirico alla Beata Vergine Maria” e la Preghiera 80 intitolata “Dal fondo del cuore, colloquio con la Madre di Dio”. Gregorio approfondì la dottrina dell’Incarnazione, traendone lo spunto per esaltare e cantare con tenera pietà e stile sublime, l’eccezionale dignità e la magnifica bellezza
della Vergine Madre.
S. GREGORIO DI NAZIANZO (o G. Nazianzèno).
Uno dei “grandi Padri cappadoci”. Vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo.
Nato a Nazianzo ((attuale Nemisi in Turchia), 329-330 circa –morì nel 389-390 circa).
Ricorrenza: 2 gennaio
Proclamato Dottore della Chiesa nel 1568 da Papa Pio V.
Fu inviato a scuola presso Cesarea di Palestina, poi ad Alessandria d’Egitto ed infine ad Atene, dove legò un’intima amicizia con il suo conterraneo San Basilio Magno. Fece ritorno verso il 359 in Cappadocia e ricevette il battesimo, all’età di trent’anni, come consuetudine a quel tempo. Da quel giorno divise i suoi giorni tra l’ascesi e lo studio, in compagnia dell’amico Basilio, nella solitudine presso Neocesarea. Ben presto però, in seguito alle numerose richieste dei fedeli, fu suo malgrado richiamato per ricevere l’ordinazione presbiterale, direttamente dalle mani di suo padre, innamorato sempre più della vita solitaria, il giovane sacerdote tornò, con San Basilio, nella regione del Ponto. Dovette tuttavia accorrere nuovamente a Nazianzo per aiutare suo padre nel governo della diocesi.
Quando Basilio, arcivescovo di Cesarea, creò nuove diocesi, Gregòrio fu scelto come vescovo di Sasima, ma preferì tuttavia la solitudine. Dopo il decreto di Teodosio prescrivente come ortodossa la fede di papa Damaso e di Pietro di Alessandria, Gregòrio fu chiamato a Costantinopoli, a predicare contro gli ariani ed eletto vescovo, ebbe così occasione di pronunciare le sue più celebri omelie, accorse dalla Siria ad ascoltare le sue parole perfino San Girolamo, che divenne suo discepolo. Nel 381, Gregòrio, oggetto di critiche, si dimise e si ritirò nuovamente nella nativa Nazianzo, che nel frattempo era rimasta priva di pastore, ed amministro tale Chiesa locale per altri due anni.
San Gregorio fu uomo di meditazione è unanimemente considerato un buon testimone della tradizione della Chiesa nelle questioni trinitarie e cristologiche. Scrisse molto e nelle sue opere, rivelò l’esperienza del Cristo vivente e operante nei santi misteri.
Emblema: bastone pastorale.
S. GREGORIO I° PAPA detto MAGNO.
Roma 540 circa – Roma 604.
Ricorrenza: 3 settembre
Proclamato Dottore della Chiesa nel 1298 da Papa Bonifacio VIII. Fu uno dei più grandi Padri nella storia della Chiesa e uno dei quattro dottori dell’Occidente. E’ stato detto Magno e soprannominato Apostolo dell’Inghilterra, per aver convertito gli Inglesi alla fede di Cristo.
Nato da una famiglia senatoriale, alla morte del padre, fu eletto prefetto di Roma, a soli 25 anni. In seguito decise di trasformare i suoi possedimenti a Roma (sul Celio) e in Sicilia in altrettanti monasteri e di farsi monaco e si dedicò con assiduità alla contemplazione dei misteri di Dio nella lettura della Bibbia. Eletto Papa, il 3 settembre 590, esplicò una multiforme e intensa attività nel governo della Chiesa e si mostrò vero pastore nel governala, nel soccorrere in ogni modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare ovunque la fede. Autore e legislatore nel campo della liturgia, riorganizzò a fondo la liturgia romana ed elaborò un “Sacramentario” (libro che contiene i testi per la celebrazione dell’Eucaristia in tutto l’anno liturgico) che porta il suo nome e costituisce il nucleo fondamentale del Messale Romano. Come scrittore ha lasciato una traccia profonda nel campo della teologia e del diritto canonico, ma specialmente dell’esegesi biblica, attività intellettuale che gli ha fatto guadagnare il titolo di “Dottore della Chiesa” cioè Maestro di vita spirituale per tutti i fedeli. Promosse quel canto tipicamente liturgico che dal suo nome si chiama “Gregoriano”.
Emblema: in abiti papali, triregno, regge un libro, Colomba.
S. ILARIO DA POITIERS, vescovo.
Poitiers (Francia), 315 circa – Poitiers, 367
Ricorrenza: 13 gennaio
Proclamato, Dottore della Chiesa da Papa Pio IX, il 29 marzo 1851.
Fu vescovo di Pictavium (l’attuale Poitiers), teologo, filosofo e scrittore; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
Nato da nobile famiglia pagana, Ilario ricevette un’ottima educazione retorica. La lettura dei testi sacri lo portò a convertirsi al cristianesimo. Successivamente, intorno al 350, fu eletto vescovo della sua città per il suo fervore religioso. La sua decisa lotta contro l’eresia ariana lo fece entrare in conflitto con buona parte dell’episcopato della Gallia e dell’Italia e fu per questo relegato in esilio in Frigia, durante il quale approfondì gli studi. Ritornato in patria ripresa la cattedra episcopale e continuò la lotta contro gli ariani.
Gli scritti più numerosi di Ilario sono di argomento dogmatico e polemico. Il suo capolavoro, De Trinitate (La Trinità), pubblicato durante l’esilio, espone il dogma della Trinità, polemizzando contro gli ariani che negavano a Cristo la natura divina. Di lui ci sono pervenuti anche tre inni religiosi, che rappresentano il primo esempio di innografia cristiana occidentale.
Emblema: Bastone pastorale.
S. ILDEGARDA DI BINGEN, vergine.
Bermersheim vor der Höhe, (Germania) 1098 –Bingen am Rhein 1179
Ricorrenza: 17 settembre
Proclamata Dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI nel 2012
Patrona degli esperanti¬sti per aver inventato una lingua artificiale, utilizzando un alfa¬beto di 23 lettere.
Monaca benedettina, badessa e fondatrice di due nuovi monasteri, dalle eccezionali virtù umane e cristiane, esperta di scienze naturali, medicina e musica, volle soprattutto insegnare a cantare l’amore di Dio e la si può considerare la prima donna musicista della storia cristiana. Ella fu anche filosofa e consigliera politica, interpellata per consigli e aiuto da personalità del tempo come Federico Barbarossa, Filippo d’Alsazia, San Bernardo e papa Eugenio III. Testimone di dialogo con il mondo, lasciò il convento per dedicarsi all’attività missionaria in Europa. Grande intellettuale, ha il coraggio di rendere pubbliche le sue “visioni profetiche”, esponendo le sue esperienze di contemplazioni mistiche in scritti che Bernardo di Chiaravalle apprezzò e incoraggiò.
Forte della certezza di essere portatrice del messaggio divino. Incita i Papi alla riforma, spiegando che lo Spirito Santo parlava attraverso di lei, una donna, perché la Chiesa condotta da maschi, aveva tradito per molti aspetti la sua missione.
Attributi: saio, penna, libro, cetra, bastone pastorale.
BEATO INNOCENZO DA BERZO (al secolo Giovanni Scalvinoni) – Sacerdote cappuccino.
Nato a Niardo nel 1844. Morì nel convento di Bergamo nel 1890.
Ricorrenza: 3 marzo giorno della morte.
Il 28 settembre ne fa memoria, l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, data della traslazione.
Beatificato da Papa Giovanni XXIII nel 1961 e patrono dei bambini, protagonisti dei due miracoli del processo di beatificazione.
Il suo corpo è venerato nella chiesa parrocchiale di Berzo Inferiore (Bs).
Nacque da un umile famiglia, il padre morì poco dopo la sua nascita, rimasto orfano, trascorse l’infanzia a Berzo; facendo propria la fede forte della gente di montagna. Fin da piccolo ebbe una grande pietà per i poveri, dando generosamente quel poco che possedeva a coloro che bussavano alla porta di casa.
La sua istruzione si svolse dapprima nel collegio di Lovere dove rimase cinque anni e quindi nel seminario di Brescia dove, nel ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1867 con il nuovo nome Innocenzo Maria. Fu vicario coadiutore a Cevo per soli due anni e poi vicerettore del seminario di Brescia.
L’innata timidezza, tuttavia, lo portava a desiderare una vita di nascondimento e solitudine, tra preghiere e penitenze.
Si fece cappuccino e ricevette il nome di fra Innocenzo dove visse in umiltà e preghiera. Anche tra i frati ricoprì solo incarichi modesti. Quando da cappuccino andava in giro per la questua, era sommamente soddisfatto di tornare in convento con la bisaccia vuota perché quanto riceveva in offerta lo dava ai bisognosi.
Trascorse la maggior parte del tempo al convento-eremo dell’Annunziata, dove rimase 14 anni. Dopo alcuni trasferimenti, gli venne affidato l’incarico di dirigere e predicare gli esercizi spirituali nei conventi della Lombardia. Cominciò allora a diffondersi la fama della sua santità. I malati e gli afflitti accorrevano per ricevere la sua benedizione.
Nonostante l’eccellente conoscenza della teologia, astutamente appariva dimesso, con la volontà di voler sempre scomparire e mai apparire. Innamorato dell’Eucaristia, sostava quanto più poteva davanti al tabernacolo. Amava molto il Crocifisso e l’esercizio della Via Crucis che raccomandava ai suoi penitenti.
I suoi scritti svelano il disarmante segreto della sua santità: l’incondizionato abbandono nelle braccia del Padre. “Gesù è da tutti offeso nel mondo: tocca a me non lasciarlo solo nell’afflizione. L’amore di Dio non consiste in grandi sentimenti, ma in una grande nudità e pazienza per l’amato Dio. Non c’è altro mezzo migliore per custodire lo spirito che patire, fare e tacere.
Avrò gran desiderio d’esser soggetto a tutti e in orrore l’essere preferito al minimo”.
Giovanni XXIII, lo definì: “Un Santo moderno, un Santo per il nostro tempo”
BEATA IRENE (MARIA MERCEDE) STEFANI, vergine. Religiosa missionaria.
Nata a Anfo (Val Sabbia), Brescia 1891 – morta a Gekondi, Kenia, 1930
Ricorrenza: il 31 ottobre
Proclamata Beata sotto il pontificato di Papa Francesco.
Il rito di beatificazione è stato celebrato il 23 maggio 2015, in Kenya, presieduto dal cardinale Polycarp Pengo arcivescovo di Dar-es-Salaam.
Maria Mercede nel 1911 entra nell’Istituto delle Missionarie della Consolata e il 12 gennaio 1912 veste l’abito religioso prendendo il nome di Irene. Il 29 gennaio 1914 emette la professione religiosa
Nel 1915 partì missionaria per il Kenya dove allora l’evangelizzazione era agli inizi e quasi inesistenti le scuole e i servizi sanitari. Dal 1914 al 1920, lavorò come infermiera dedicandosi all’assistenza negli ospedali militari al tempo della Prima Guerra Mondiale, che raggiunse anche l’Africa. Suor Irene trascorreva le sue giornate di giovane missionaria, medicando, piaghe e ferite e distribuendo medicine e cibo, negli ospedali.
La seconda tappa della sua vita, dal 1920 al 1930, la trascorse nella missione di Gekondi, dedicandosi all’insegnamento scolastico istruendo le giovani consorelle giunte da lei per il tirocinio missionario.
Irene, missionaria del primo Novecento, durante il suo servizio negli ospedali militari in Kenya e in Tanzania per medici, infermieri era «l’angelo della carità». Nella missione a Gikondi, dove visse gli ultimi anni della sua vita, la gente la chiamava «madre misericordiosa» per la sua tenerezza soprattutto verso gli ammalati. La carità è stata la molla, che ha illuminato la vita di suor Irene e i vari appellativi con cui è stata chiamata sottolineano il proposito da lei fatto prima di raggiungere il Kenya “Amerò la carità più di me stessa”.
La beata suor Irene ci lancia un messaggio semplice: se si vuole essere felici bisogna dimenticare sé stessi, farci “prossimi” gli uni agli altri e dialogare con tutti, per portarli all’incontro con Cristo. La beata, ci ricorda che la carità non si racconta, ma si vive con gratuità e diventa, servizio…
La sua missione fu variegata e sempre in movimento: insegnante, consigliera delle donne e delle ragazze, confidente dei giovani e assistente sociale, rubava ore al sonno per scrivere lettere, da parte delle famiglie, ai giovani emigrati in cerca di lavoro. Aveva lo stile del buon Samaritano, che dona gratuitamente e senza protagonismo.
Irene ha dato la vita per l’Africa, morì a soli 39 anni, dei quali 18 trascorsi tutti in Kenya, curando un uomo ammalato di peste.
S. ISIDORO DI SIVIGLIA, arcivescovo, teologo, scrittore.
Nato a Cartagena 559/560 – morì a Siviglia 636.
Ricorrenza: 4 aprile
Proclamato Dottore della Chiesa nel 1722 da Papa Innocenzo XIII.
Discendente da una illustre famiglia, perse presto i genitori e fu cresciuto dai fratelli maggiori Leandro, Fulgenzio, e Fiorentina. Dei suoi fratelli due furono vescovi e Santi e la sorella fu badessa e Santa.
Completati gli studi nel monastero di Siviglia, Isidoro decise di restarvi come monaco. Successe al fratello Leandro nel governo episcopale della diocesi di Siviglia.
Scrisse molto, su vari argomenti: le opere che ci rimangono sono piene di pietà e di sapienza celeste. Ricordiamo i Commentari sui libri storici del Vecchio Testamento; i venti libri delle origini e delle etimologie.
Ultimo dei Padri latini, tuttavia, è noto soprattutto per le sue «Etimologie», un’ampia opera, di fondamentale importanza nel Medioevo e di amplissima diffusione.
Fu però soprattutto un vescovo zelante fondò un collegio ecclesiastico, prototipo dei futuri seminari, dedicando molto spazio della sua laboriosa giornata all’istruzione dei candidati al sacerdozio. In mezzo a tante fatiche del ministero, non trascurò mai le pratiche di pietà e l’esercizio della vita interiore; con la preghiera, la meditazione e la penitenza avvalorava tutte le azioni della giornata.
Convocò e presiedette vari concili provinciali tra cui si ricorda l’importante quarto concilio di Toledo del 633, durante il quale si occupò di uniformare le formule liturgiche e impose una sola forma liturgica in tutta la Spagna. Si adoperò con tutte le forze per ristabilire l’osservanza della disciplina ecclesiastica nella Chiesa di Spagna. Sapienza, mai disgiunta da profonda umiltà e carità, gli hanno meritato il titolo di «doctor egregius»
Patrono di Internet e di chi ci lavora. Papa Giovanni Paolo II lo ha designato nel 2002
S. LEONE I°, PAPA
Toscana, 390 – 400 circa – Roma, 461.
È stato il primo papa che ebbe il titolo di Magno (Grande).
Ricorrenza: 10 novembre
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Benedetto XIV, nel 1754.
Il pontificato di Leone, dal 440 al 461, fu il più significativo ed importante dell’antichità cristiana. In un periodo in cui la Chiesa stava sperimentando grandi ostacoli a fronte della decadenza dell’Impero, Leone affermò vigorosamente l’unità della Chiesa per mezzo di Roma e rivendicò la supremazia del vescovo di Roma su ogni altro. Fu un papa energico, avversò il paganesimo e intervenne d’autorità nella polemica cristologica che infiammava l’Oriente.
A buon diritto meritò l’appellativo di Magno sia per aver nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola, sia per aver sostenuto, la retta dottrina sull’incarnazione di Dio, nel Concilio Ecumenico del 451 di Calcedonia (Kadıköy, oggi quartiere di Istanbul) da lui convocato, nel quale si proclamava l’esistenza in Cristo di due nature (divina ed umana), che si uniscono nell’unica persona del Verbo.
S. LODOVICO PAVONI, sacerdote.
Nato a Brescia 1784 – Morto a Saiano (BS) nel 1849.
Ricorrenza: 1 aprile – 28 maggio, data della prima traslazione nel Tempio dell’Immacolata.
Proclamato Santo da Papa Francesco nel 2016.
Fondatore della Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata (Pavoniani).
I suoi resti mortali riposano dal 2002 nel Tempio votivo di Santa Maria Immacolata in Brescia.
Nato da genitori nobili si rivela presto sensibile ai problemi sociali, al contrasto tra benefici di pochi e sofferenza di molti. Decise allora di farsi sacerdote, per dedicarsi al servizio dei poveri; ordinato nel 1807 si dedica ad un’intensa attività catechetica, fondando presto un suo Oratorio per l’educazione cristiana dei ragazzi più poveri.
Nel 1812 il vescovo di Brescia Gabrio Nava lo nomina suo segretario, concedendogli di continuare la direzione dell’Oratorio divenuto assai fiorente. Nel 1818 lo designa come canonico del Duomo e lo autorizza a dedicarsi interamente alla fondazione di un “privato Istituto di beneficenza” con annesso “Collegio d’arti”, che dal 1821 si chiamerà “Pio Istituto S. Barnaba”, per i giovani orfani, o trascurati dai propri genitori e sbandati.
L’Istituto riuniva per la prima volta l’aspetto educativo, assistenziale e professionale, ma «l’idea caratteristica» era che: i giovani venissero raccolti, gratuitamente mantenuti, educati alla religione, avviarti ad un mestiere e vi trovassero tutto ciò che hanno perduto: … non solamente… un pane ed una educazione nelle lettere e nelle arti, ma la famiglia; un “metodo educativo”, che lo pone all’avanguardia dei pedagogisti dell’Ottocento, elementi poi ripresi e sviluppati da S. Giovanni Bosco, un modello che preluderà alle attuali scuole professionali. Nel 1824 da inizio ad una attività tipografica (la prima in Italia) ed editoriale. Introduce nel mondo del lavoro riforme di assoluta novità, anticipando la dottrina sociale della “Rerum Novarum”.
Negli anni, i mestieri insegnati si moltiplicarono. Il Pavoni pensò anche ai contadini e progettò una Scuola Agricola e nel 1841, accolse nell’Istituto i sordomuti.
A sostegno e per la continuità dell’Istituto, il Pavoni pensava di formare una regolare Congregazione religiosa, che riuscì solo nel 1847, col nome di Figli di Maria, oggi Figli di Maria Immacolata (Pavoniani), che appariva così audace e nuova (i “frati-operai”) da lasciare perplesse autorità civili e religiose (sacerdoti, religiosi e laici collaborano “alla pari” come educatori della fede).
Muore il 1° aprile 1849 a 64 anni, a Saiano, vittima eroica del suo prodigarsi per portare in salvo i suoi ragazzi dal pericolo dei combattimenti durante le “Dieci Giornate di Brescia”.
S. LORENZO DA BRINDISI (Giulio Cesare Russo), sacerdote.
Brindisi, 1559 Lisbona, 1619.
Ricorrenza: 21 luglio
Proclamato Dottore della Chiesa, da Papa Giovanni XXIII nel 1959 col titolo di Doctor Apostolicus.
Perse il padre da bambino e la madre ch’era appena adolescente. A 14 anni fu costretto a trasferirsi a Venezia da uno zio sacerdote, dove proseguì gli studi e maturò la vocazione all’Ordine dei Minori Cappuccini. A Padova segue gli studi di logica e filosofia e nuovamente a Venezia quelli di teologia. Nel 1602. Divenne Vicario generale del suo Ordine. Nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, svolse instancabilmente, nelle regioni d’Europa, il ministero della predicazione; esercitò ogni compito in semplicità e umiltà nel difendere la Chiesa contro gli infedeli. Oratore eccelso, conoscitore di molte lingue e di cultura vastissima, durante la sua vita fu messaggero di pace nel riconciliare tra loro i potenti in guerra, sia i Pontefici sia i Principi cattolici, gli affidarono ripetutamente importanti missioni diplomatiche. Per tre anni frate Lorenzo rappresenta la Santa Sede in Baviera.
Fu anche autore di numerose opere di esegesi biblica, di teologia e di scritti destinati alla predicazione. Inoltre, essendo un mariologo di grande valore, egli mette in evidenza il ruolo unico della Vergine Maria, di cui afferma con chiarezza l’Immacolata Concezione.
È ricordato anche per la sua straordinaria conoscenza della Bibbia nelle tre lingue originali.
I suoi scritti rimangono inediti fino all’edizione integrale negli anni 1925-1956, in seguito alla quale Giovanni XXIII lo proclamerà Dottore della Chiesa.
S. LORENZO RUIZ DI MANILA, martire. Laico.
Binondo (Manila Filippine) 1600 circa – Nagasaki 1637 (Giappone).
Ricorrenza: 28 settembre. Unica commemorazione assieme a 15 compagni.
Proclamato Santo da Papa Giovanni Paolo II nel 1987.
Padre di famiglia, Lorenzo Ruiz si unì ad un gruppo di missionari domenicani della provincia del Santo Rosario (Filippine) e svolse il suo apostolato come catechista cattolico, presso vari paesi asiatici.
Nella prima metà del secolo XVII (1633-1637) Lorenzo Ruiz e il gruppo dei suoi compagni di fede tutti missionari del Vangelo appartenenti o associati all’Ordine di san Domenico, (nove sacerdoti, due frati e tre terziarie, e tre laici, tra cui Lorenzo) pur di diversa età e condizione, contribuirono a diffondere la fede di Cristo nelle Isole Filippine, a Formosa, Taiwan e nel Giappone, testimoniando con la vita ed il martirio.
Per amore di Cristo, versarono il loro sangue nella città di Nagasaki. Lorenzo venne arrestato a Nagasaki e, dopo essere stati sottoposti a vari tormenti, questa gloriosa schiera, venne messa a morte (in vari periodi, tra il 1633 ed il 1637: calati a testa in giù in una fossa piena di rifiuti, vennero lasciati spegnersi lentamente.
S. LUCIA, vergine e martire di Siracusa.
Siracusa, III secolo – Siracusa 304
Ricorrenza: 13 dicembre
Sin da fanciulla si consacrò segretamente a Dio e fece voto di perpetua verginità. Un giorno propose alla madre, molto malata, di recarsi al sepolcro di S. Agata per chiedere la grazia di guarirla. Giunte a Catania pregarono tanto che San Agata apparve in visione dicendo: “Sorella mia, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi ottenere per tua madre? Ecco che, per la tua fede, ella è già guarita!”. Fu allora che rivelò alla madre il desiderio di donarsi a Dio, rinunciando al matrimonio ed elargendo le proprie ricchezze ai bisognosi. Era solita portare aiuti ai cristiani nelle catacombe di Siracusa con una corona di candele, per illuminare la strada e poter portare più cibo con le mani. Denunciata e torturata, subì il martirio, all’epoca di Diocleziano nel 304, rimase miracolosamente illesa e infine uccisa con la spada per decapitazione. La leggenda che le fossero tolti gli occhi è falsa, ma si dice che esclamasse fra i tormenti: “farò vedere ai credenti in Cristo la virtù del martirio e ai non credenti toglierò l’accecamento della loro superbia”.
Il suo nome la collega alla luce: di lei si scrisse: “diffondeva la luce dei suoi occhi sulla lunga notte del solstizio”. Santa considerata simbolo della grazia illuminante.
Attributi: viene raffigurata con i suoi occhi sopra un piatto, ramo di palma, spada.
BEATA LUCIA (Broccadelli) DA NARNI, mistica e suora domenicana.
Narni (Terni) 1476 – Ferrara 1544
Ricorrenza: 15 novembre
Lucia già a 12 anni si consacrò a Dio con voto di verginità. Suo malgrado, fu costretta dai familiari a sposarsi; dopo tre anni di matrimonio spirituale con il conte Pietro di Alessio, si separò dal marito, il quale più tardi diventerà frate francescano.
Lucia nel 1494 entrò nel Terz’Ordine domenicano a Narni.
Era particolarmente dedicata alla preghiera, alla meditazione, alla penitenza. La contemplazione del mistero della Passione e Morte del Signore, la teneva legata per ore intere e qualche volta anche per giornate e la faceva partecipare al dramma della via dolorosa, della crocifissione del Salvatore e dei Suoi dolori in modo anche sensibile che spesso gemeva e mostrava i segni della sofferenza.
I digiuni si succedevano ai digiuni, tanto che il Padre confessore e i Superiori le imposero di mettere un limite a certi eccessi. La santa Comunione diventava, spesse volte, l’unico nutrimento della giornata e sovente per settimane intere. Delle sue estasi erano spesso spettatori anche diversi fedeli che partecipavano alle sacre celebrazioni.
Erano frequenti per lei, come di consueto, le visioni di S. Domenico, di S. Caterina e di altri Santi.
Il 24 febbraio 1496, a Viterbo, mentre le monache erano raccolte per la recita del mattutino e mentre ripetevano le parole profetiche del salmista, suor Lucia rimase con lo sguardo fisso nel vuoto, si abbandonò nel suo stallo del coro perdendo i sensi. La recita fu portata alla fine tra la commozione generale, contemplando quella scena di portata straordinaria; ad un certo momento, suor Lucia si risollevò, mormorava delle frasi che descrivevano i vari momenti della Passione del Signore, parlava affannosamente, singhiozzava, tremava, poi, si abbandonò di nuovo tanto che fece temere che fosse morta. Emise poi un grido invocando il Signore perché imprimesse anche sulle sue membra i segni della Passione, l’estasi si protrasse fino al mattino seguente, 25 febbraio, poi si riebbe e volle andare alla chiesa di Santa Maria in Gradi per partecipare alla S. Messa. Rientrando a casa notò sulle sue mani due tumefazioni arrossate e livide nel mezzo; tuttavia non le fece parola di ciò, né di quello che provava, anzi si sforzava di tenere nascosti quei segni. Lucia tenne nascosto il fatto solo per poco tempo, infatti il dolore fu tanto forte e la prostrò talmente, che le consorelle temettero che fosse giunta alla sua ultima ora. Si premurarono perciò di avvertire i suoi familiari che accorsero a Viterbo giunsero presto, la mamma ed altri parenti accompagnati da Padre Martino da Tivoli, questi rimasero meravigliati e costatarono i segni delle stimmate, che erano divenute più piccoli, ma da esse usciva sangue in continuazione.
Le stimmate, furono verificate dallo stesso papa, da medici e da teologi.
Il duca di Ferrara Ercole I, conosciuta la santità di Lucia, le chiese di diventare sua consigliera e le costruì il monastero di S. Caterina da Siena per l’educazione delle giovani ferraresi. Negli ultimi anni di vita conobbe il disprezzo e l’umiliazione, che accettò con imperturbabile serenità, sopportando grandi sofferenze.
S. MARGHERITA BAYS
La Pierraz (Svizzera) 1815- Siviriez 1879.
Canonizzata il 13 ottobre 2019 da papa Francesco.
Ricorrenza: 27 giugno giorno della morte.
Margherita Bays è considerata una “santa della porta accanto” che ha vissuto il suo apostolato laicale nell’ordinarietà della vita familiare e parrocchiale, dedicandosi interamente a Dio, alla Vergine, a cui era particolarmente devota, e ai fratelli più o meno bisognosi.
Margherita è la seconda dei sette figli di Pierre-Antoine Bays e Marie-Joséphine Morel, modesti agricoltori e buoni cristiani. É una bambina intelligente e vivace ma anche incline alla spiritualità, tanto che spesso interrompe il gioco per ritirarsi nel silenzio a pregare.
Dopo le scuole primarie si specializza come sarta, attività che esercita per tutta la vita e che le permette di mantenersi. Per quanti non hanno di che pagare, Margherita non manca di prestare gratuitamente i suoi servizi di sartoria.
La giovane, però, si sente portata anche per una vita di raccoglimento e preghiera e invita sempre a pregare con lei anche quanti incontra per lavoro, oltre che in famiglia.
S’impegna in parrocchia, dove trascorre tutto il suo tempo libero: insegna il catechismo ai bambini, si occupa dei poveri, a suo dire “i preferiti di Dio” perché indifesi, prepara le giovani a divenire future spose e buone madri, visita gli ammalati, assiste i moribondi, introduce nella parrocchia le opere missionarie e contribuisce alla diffusione della stampa cattolica.
Per questa sua vita di apostolato attivo tutti si aspettano che entri in convento. Però, come via per raggiungere il Signore Margherita sceglie la quotidianità della famiglia, rifiutando di entrare in un ordine religioso, restando celibe e abbracciando una vita di castità. Nel 1860 entra nel Terz’Ordine Francescano, oggi chiamato Ordine secolare.
Margherita vive costantemente alla presenza di Dio e alimenta questo sentimento con la preghiera assidua. Nonostante le difficoltà vissute in famiglia, con contrasti ed afflizioni provocati dalla cognata e dai fratelli, mantiene sempre un atteggiamento paziente e servizievole. Con amore cerca di rendersi utile in famiglia, aiutando anche là dove sarebbe spettato agli altri e creando sempre un’atmosfera di bene e di pace, nonostante i momenti bui. Attraverso la sua testimonianza d’amore e carità, anche i suoi fratelli si sono aperti a Cristo, cominciando un cammino di conversione.
A trentacinque anni Margherita si ammala di tumore intestinale, ma prega la Madonna di guarirla da quella malattia per il disagio psicologico che le crea, sostituendola con sofferenze che la facciano partecipare alla Passione di Cristo. La Vergine l’esaudisce l’8 dicembre 1854, proprio nel giorno in cui papa Pio IX proclama il dogma dell’Immacolata Concezione.
Da allora prende consistenza la fama di mistica, che la santa manifesta attraverso il sonno estatico e una misteriosa malattia che l’immobilizza in estasi ogni venerdì alle 15 e per tutta la Settimana Santa, facendole rivivere nel corpo e nello spirito le sofferenze di Gesù, accompagnate dalle stimmate, la cui origine mistica viene dichiarata dal vescovo Étienne Marilley, dopo gli opportuni esami medici.
Le manifestazioni, accompagnate dalla semplicità e dalla rettitudine di Margherita, le valgono un’aurea di santità quando è ancora in vita. Muore il 27 giugno 1879. Per i parrocchiani di Siviez e dintorni è morta una santa e la vogliono tumulata nella loro chiesa. Margherita lascia il ricordo della sua vita, del suo amore a Dio e della sua dedizione agli altri. Le sue gesta di conforto, di bontà, di ascolto, di grazie elargite continuano ancora oggi ad alleviare le pene di coloro che la supplicano.
SANTA MARGHERITA DI SCOZIA, regina e vedova.
Ungheria 1046 circa – Edimburgo (Scozia) 1093
Ricorrenza: 16 novembre
Margherita Figlia di Edoardo, re inglese in esilio, nacque in Ungheria e con la famiglia tornò in Inghilterra nel 1057. Sua madre, Agata, discendeva dal santo re magiaro Stefano. A 24 anni sposò Malcolm III re di Scozia. Ebbe sei figli maschi e due femmine di cui uno, Davide, venerato come santo.
Si adoperò molto per il bene del suo regno e della Chiesa.
Ogni giorno Margherita apriva le porte del castello per accogliere ed assistere personalmente poveri ed ammalati. La tradizione vuole che prima di mangiare lavasse i piedi ai poveri e che si levasse a mezzanotte per assistere alle funzioni. Anche i membri della corte, attratti dal suo esempio, si univano a lei per le preghiere quotidiane.
Margherita esercitò un influsso notevole nella riforma religiosa della Scozia, contribuendo a portare il culto locale in linea con il culto della Chiesa di Roma.
Donna pia, Margherita si interessò alla costruzione di alcuni ricoveri per i pellegrini di S. Andrea; mise anche a loro disposizione delle barche, per passare da una sponda all’altra del fiume Forth. Uno dei suoi più grandi progetti fu la ricostruzione dell’abbazia di Iona (isola della Scozia).
S. MARIA CROCIFISSA DI ROSA, vergine.
Paola Francesca Maria Di Rosa nata a Brescia 1813. Morta a Brescia 1855.
Memoria liturgica: 15 dicembre
Canonizzata da Papa Pio XII 1954.
Nata da ricca famiglia, suo padre, industriale bresciano, riesce a fare affari d’oro, ma non adora il dio denaro; la madre, nobile bergamasca, muore nel 1824 quando Paola Francesca ha 11 anni.
Tra il 1825 e il 1830 Paola continuò gli studi e l’apprendimento della dottrina religiosa nel convento di S. Croce, presso le suore della Visitazione. Tornata in famiglia a 17 anni, proseguì una vita concentrata sulla preghiera e sulla conduzione della dimora paterna.
Un anno dopo, nel 1831, rifiutando le nozze progettate dal padre, la giovane decide di restare fedele al voto di castità fatto in istituto, viene mandata a dirigere una filanda di proprietà dal padre ad Acquafredda; diventando amica di quelle ragazze. Paola organizza aiuti per i bisognosi e si dedica all’istruzione religiosa femminile, aiutata da alcune ragazze.
Il colera, che scoppia a Brescia nel 1836, trasforma Paola in infermiera. Intanto, accanto all’azione di tipo assistenziale all’interno di istituzioni già esistenti, cominciò a farsi strada in lei la volontà di estendere il proprio impegno a nuove iniziative: sorsero così, sempre a Brescia, due scuole per sordomuti. Poi, nacque in Paola il proposito di fondare una associazione religiosa di infermiere che svolgesse attività di assistenza fisica e spirituale negli ospedali e a domicilio degli ammalati. Il progetto, sostenuto economicamente dal padre, divenne realtà nel 1840, con l’inizio del servizio nell’ospedale femminile di Brescia.
L’associazione benefica, che all’inizio è un chicco invisibile, fa la sua prova generale nella prima guerra d’indipendenza (1848) e nelle «Dieci Giornate di Brescia». Dopo la repressione austriaca, l’opera di assistenza fu indirizzata agli affamati e ai malati.
Nel 1951 Paola ottenne, da Pio IX, l’approvazione della congregazione religiosa, col nome di Ancelle della Carità.
Nel 1852, Paola Francesca poté vestire l’abito religioso delle ancelle e pronuncia i voti diventando suor Maria Crocifissa.
Santa Maria Crocifissa Di Rosa, consacrò i suoi beni e tutta se stessa alla salvezza spirituale e materiale del prossimo.
Emblema: Giglio
Il suo corpo è venerato nella chiesa della Casa Madre delle Ancelle della Carità a Brescia.
Fondatrice della congregazione delle Ancelle della Carità.
S. MARIA DI GESU’ CROCIFISSO (MARIAM BAOUARDY) vergine.
Ibillin1846 (vicino Nazareth) – Betlemme 1878.
Ricorrenza: 26 agosto, mentre per l’Ordine Carmelitano la sua memoria cade il 25 agosto.
Proclamata Santa da Papa Francesco nel 2015.
È stata una religiosa palestinese dell’Ordine dei carmelitani scalzi, conosciuta per diverse manifestazioni mistiche.
Porta in dote alla chiesa universale la ricchezza dell’Oriente cristiano e una particolare devozione allo Spirito Santo.
Mariam Baouardy nacque in Israele da famiglia maronita molto poveri ma altrettanto onesti e pii; fu battezzata ed educata nella chiesa greco-cattolica.
Rimasta orfana di entrambi i genitori a soli tre anni insieme al fratello Paolo, venne affidata ad uno zio e non ricevette alcuna istruzione scolastica, rimanendo analfabeta.
All’età di 13 anni fece la promessa di verginità e quando lo zio volle darle in sposa un egiziano, si tagliò i capelli in segno di consacrazione, scatenando la furia dello zio. L’8 settembre 1859, Mariam arrivò alle soglie della morte: quando un turco che voleva convincerla a convertirsi all’islam le tagliò la gola. In seguito racconterà di essersi trovata in cielo; a restituirle la vita “un’infermiera vestita di azzurro” che la curò, dichiarò anni dopo, che si trattava della Vergine. A prova dell’accaduto le rimase la voce rauca, una cicatrice di 10 centimetri sul collo e fu accertato da un celebre medico ateo che le mancavano persino alcuni anelli della trachea. Seguirono alcuni anni durante i quali lavorò come domestica ad Alessandria, Gerusalemme, Beirut e Marsiglia. Il 14 giugno 1867 arrivò al Carmelo di Pau, prendendo poi il nome di suor Maria di Gesù Crocifisso. Nel 1875 partì per la sua Terra Santa, per la fondazione del primo Carmelo in terra di Palestina e fu proprio lei – che non capiva certo di architettura – a descrivere il progetto e dirigere i lavori per la costruzione del monastero a Betlemme: nel luogo indicatole in visione dal Signore, su una collina, prospiciente la Natività.
Fece profezie, ebbe persino una rivelazione sul luogo in cui “il Signore spezzò il pane”, Emmaus Nikopolis, in seguito alla quale furono effettuati gli scavi e trovati resti importantissimi.
I testimoni dell’epoca e in particolare le sue consorelle, attestarono una serie di doni o qualità mistiche che avrebbero caratterizzato la sua vita. Amédée Brunot, nella biografia di Mariam, elenca una serie di otto doni mistici: estasi, levitazione, stigmate, profezia, ubiquità, transverberazione del cuore, visioni di santi e dono della poesia.
Le estasi furono numerosissime e paragonate da Mirjam a dei “colpi di sonno”; che le fa vedere il volto del suo Signore.
Sul suo corpo vede riprodursi le ferite provocate a Gesù durante la sua passione: Mirjan tenderà sempre a nascondere le stigmate che chiamava “la mia malattia”. Ma lo Spirito Santo le concede una ferita più soave: la trasverberazione del cuore. Mirjam cade in estasi, è trasfigurata e si sente “trafitto” il cuore che inizia a sanguinare provocandole dolore e gaudio.
Dopo la sua morte, per cancrena al braccio fratturato, venne estratto il cuore e fu rilevata la cicatrice di una ferita profonda e non recente, segno della trasverberazione.
Papa Giovanni Paolo II ha così riassunto il messaggio di Suor Maria: “Le Beatitudini trovano in lei il loro compimento.
S. MARIA FAUSTINA KOWALSKA al secolo Helena Kowalska.
Venerata come l’Apostola della Divina Misericordia.
Glogowiec, Polonia, 1905 – Cracovia, Polonia, 1938
Ricorrenza: 5 ottobre
Canonizzata da Papa S. Giovanni Paolo II nel 2000.
Fin dall’infanzia si distinse per la devozione, per l’amore alla preghiera, per la laboriosità e per l’obbedienza.
Terza dei dieci figli di una coppia di contadini, lasciata la casa paterna a 16 anni, lavorò come donna di servizio finché, nel 1925, non entrò nella Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia a Varsavia; Trascorse il tempo del noviziato a Cracovia e lì pronunziò i primi voti, e dopo cinque anni i voti perpetui: castità, povertà e obbedienza. Con la vestizione religiosa, assunse il nome di suor Maria Faustina.
Impegnata nei più umili servizi in varie case della sua Congregazione, non lasciava trasparire nulla delle straordinarie comunicazioni divine, cercando invece di vivere strettamente unita alla volontà di Dio e confidando nella sua misericordia. L’austerità della vita e i digiuni estenuanti ai quali si sottoponeva anche prima di entrare nella Congregazione avevano indebolito il suo organismo.
Nonostante il fatto che frequentò la scuola per appena tre anni scarsi, ha scritto il “Diario” negli ultimi quattro anni della sua vita dove descrisse dettagliatamente ciò che voleva dire con un linguaggio molto chiaro, senza ambiguità, e con una grande semplicità e precisione.
Dopo l’anno di noviziato ebbe le prime dolorose esperienze mistiche e le sofferenze spirituali legate alla realizzazione della missione ricevuta da Gesù Cristo. Il Giovedì Santo del 1934 si offrì come vittima di espiazione per i peccatori e ciò le comportò, in seguito, una serie di varie sofferenze per la salvezza delle anime. «Ho bisogno delle tue sofferenze per la salvezza delle anime», le ha insegnato Gesù. «Sappi, figlia mia, che il tuo quotidiano, silenzioso martirio nella totale sottomissione alla mia volontà, conduce molte anime in paradiso, e quando ti sembra che la sofferenza oltrepassi le tue forze, guarda le mie piaghe. La meditazione sulla mia passione ti aiuta a sollevarti al di sopra di tutto».
Durante la sua vita religiosa avrebbe avuto grazie straordinarie: rivelazioni private, visioni, il dono dell’ubiquità, il dono della profezia e quello dello sposalizio mistico, inoltre avrebbe ricevuto anche le stigmate nascoste.
Negli ultimi anni della sua vita si intensificarono le sofferenze e ne sono state individuate tre categorie: la sofferenza fisica quella spirituale e quella da stimmate.
Alla prima appartengono: la malattia (la tubercolosi si aggravò e per questo dovette ricoverarsi due volte nell’ospedale dove ricevette il sacramento degli infermi).
Le sofferenze spirituali possono essere divise in due gruppi: al primo appartengono quelle “esterne”, morali, al secondo invece quelle “interne”, prettamente spirituali.
Le sofferenze da stimmate non si manifestavano attraverso segni esterni; il dolore da esse provocato era però molto più intenso e riguardava solo quelle parti del corpo in cui Gesù fu ferito, cioè delle mani, dei piedi, della testa e del fianco.
La vita di S. Faustina, ricca di diverse forme di sofferenza costituisce un esempio di come sia possibile vivere qualsiasi difficoltà alla luce della fede cristiana. Suor Faustina aveva capito che la sofferenza per noi cesserà di essere sofferenza: diventerà una delizia – annotava – «cioè non sono mai tanto felice, come quando soffro per Gesù che amo con ogni palpito del cuore».
Distrutta nel fisico, ma pienamente matura nello spirito, morì in fama di santità dopo 13 anni di vita religiosa.
Prima della sua morte, poche persone erano a conoscenza della sua profonda vita mistica e della missione che doveva compiere; oggi il messaggio della Misericordia a lei rivelato da Gesù è noto in tutti i continenti.
S. MARIA GORETTI, vergine e “martire della purezza”. Laica.
Corinaldo (Ancona) 1890 – Nettuno (Roma) 1902.
Proclamata santa nel 1950 da Pio XII.
Ricorrenza: 6 luglio
Il corpo e le reliquie di Maria Goretti, sono conservati a Nettuno, nel Santuario di Nostra signora delle Grazie e di Santa Maria Goretti e a Corinaldo, in provincia d’Ancona.
Figlia di contadini, Maria era la seconda di sei figli. I Goretti si trasferirono presto nell’Agro Pontino. Nel 1900 suo padre morì e la madre dovette iniziare a lavorare, lasciando a Maria l’incarico di badare alla casa e ai suoi fratelli. La mamma Assunta era analfabeta. «Maria era desiderosa -racconta la madre- di imparare le cose della fede, non ricordo sia mancata alla Messa e pur non sapendo leggere aveva imparato a memoria le preghiere e soprattutto il S. Rosario.
La fanciulla non litigava mai coi fratelli, se riceveva qualche frutta o altro lo distribuiva ai fratellini e alla mamma e riservava per sé i resti. «Maria -diceva mamma Assunta- nel mangiare non assaggiava nulla se prima non aveva fatto la parte a me ed ai fratellini.
A undici anni Maria fece la Prima Comunione e maturò il proposito di morire prima di commettere dei peccati. Quando ricevette Gesù nella prima comunione, ripeté a Lui la sua promessa, «O Gesù piuttosto che offenderti mi faccio ammazzare».
Quando Maria aveva 12 anni, Alessandro Serenelli, un giovane vicino di casa, con la scusa di farsi rammendare dei vestiti, attirò Maria in casa, la aggredì e tentò di violentarla. Alle sue resistenze e ai tentativi di difendere la sua castità, la ferì più volte con un punteruolo. Trasportata in ospedale il giorno successivo morì. Prima di spirare perdonò Serenelli.
In ospedale venne fatta la breve funzione della iscrizione e la benedizione della medaglia della Madonna. Il suo volto s’illuminò quando il cappellano, le appese al collo la medaglia che lei non finiva poi di baciare. Suor Aurelia Pecchini, riferì che Maria vedeva la Madonna e chiedeva di essere posta più vicino a lei. Ma nessuno la vedeva. E lei meravigliata: «Possibile che non la vediate? È così bella! tutta luce! io voglio stare più vicino alla Madonna». Chi fu presente non ebbe nessun dubbio che la Madonna le fosse apparsa.
L’assassino fu condannato a 30 anni. Si pentì e si convertì solo dopo aver sognato Maria che gli diceva che avrebbe raggiunto il Paradiso. Quando fu scarcerato dopo 27 anni chiese perdono alla madre di Maria. E trascorse il resto della sua vita come giardiniere e portinaio in vari conventi.
Fin da subito, la devozione per Maria Goretti si diffuse tra gli strati più umili della popolazione, in particolare quelli rurali; a cui apparteneva. La sua beatificazione avvenne nel 1947 con Pio XII, lo stesso papa che la canonizzò, dopo essersi congratulato con la madre, che ammalata e seduta su una sedia a rotelle, assisté al rito da una finestra del Vaticano.
Emblema: Palma
BEATA MARIA MADDALENA (MARGHERITA MARTINENGO), badessa dell’Ordine delle Clarisse Cappuccine.
Si distinse per le opere di penitenza e le doti mistiche.
Nata a Brescia nel 1687 e morta di tubercolosi a Brescia nel 1737. Beatificata da Leone XIII nel 1900.
Ricorrenza: 27 luglio
I resti della Martinengo furono traslati nel 1972 nel monastero delle cappuccine a Brescia.
Margherita di famiglia nobili, perse presto la madre e il padre le assegnò come istitutrice una religiosa Orsolina alla scuola della quale imparò a gustare di più la preghiera che i giochi infantili.
All’età di 5 anni prese come mamma e modello la Madonna.
A 10 anni entrò come educanda nel monastero delle agostiniane, dove erano come religiose due zie materne e dove dette prova della sua precoce vocazione al martirio.
A 13 anni fece voto segreto di verginità a Dio. Dopo sofferte contrarietà familiari, nel 1705 diciottenne entró nel monastero delle Clarisse Cappuccine e prese il nome di suor Maria Maddalena; dove rimase per 32 anni fino alla morte.
Il livello culturale e il decoro delle maniere, che le proveniva dal rango, non contribuirono a facilitare i rapporti con la comunità claustrale. Maria Maddalena per nulla al mondo, avrebbe voluto primeggiare. Visse il primo decennio fra angosce, aggravate da ostilità di consorelle. Tra il 1711 e il 1722, le furono assegnati gli incarichi più umili del convento, nel 1723 fu nominata maestra delle novizie. La sua condotta suscitò gelosie e alcune suore le divennero “contrarie”. Col successivo incarico di “ruotara”, ebbe rapporti con l’esterno e la sua fama si diffuse nella città.
Nel 1729, dando credito alle maldicenze di alcune suore, il confessore ordinario, don Antonio Sandri, dette alle fiamme il manoscritto delle Massime spirituali, che lo distrussero parzialmente, tramandato incompleto. L’invidia delle consorelle verso la sua indubbia superiorità spirituale, i timori delle abbadesse verso l’alone di santità. Ebbero come conseguenza la sospensione punitiva da ogni incarico comunitario, poco dopo, revocata dall’autorità vescovile.
Nel 1732 fu eletta badessa, quando il 21 apr. 1737 vi rinunciò, il suo corpo era ormai sfinito
Suor Maria Maddalena andava in estasi d’amore ed il fuoco del divino amore la consumava e per spegnere questo fuoco si affliggeva con una pratica penitenziale sovrumana tenuta nascoste a tutti. È difficile esagerare il suo martirio sconcertante, ma le sofferenze corporali furono superate da quelle spirituali e morali.
Soggetta a prolungati svenimenti le consorelle poterono constatare, nel suo corpo i segni delle sue tremende penitenze cilizi, incisioni e delle stimmate di diversi tormenti della passione del Signore. I medici esaminato il suo corpo trovarono i segni di tre chiodi, trenta aghi attorno al cranio e molti altri in varie parti del corpo.
La Beata. Maria Maddalena ci ha lasciato numerosi suoi scritti, inediti fino all’età contemporanea, sia diretti alle consorelle che autobiografici, dove scrisse le sue esperienze per obbedienza ai confessori.
BEATA MARIA TRONCATTI, vergine. Missionaria, ausiliatrice presso gli indios dell’Ecuador.
Nata a Corteno Golgi (Bs) nel 1883. Morta a Sucùa (Ecuador) nel 1969.
Beatificata nel 2012 Macas (Ecuador) dal delegato di Sua Santità Papa Benedetto XVI, il card Angelo Amato
Memoria liturgica 25 agosto
La sua salma riposa a Macas (Equador)
Nacque in una modesta e numerosa famiglia che le diede un’educazione cristiana. Vive serena e laboriosa e fin da giovanissima mostra un profondo senso religioso unito a un carattere vivace e a una brillante intelligenza.
Assidua alla catechesi parrocchiale e ai Sacramenti, l’adolescente Maria matura un profondo senso cristiano che la apre alla vocazione religiosa. Conosciute le missioni salesiane attraverso la lettura del Bollettino Salesiano, iniziò a maturare la propria vocazione religiosa.
La vita dei missionari affascina la fervida immaginazione di Maria, che si sente conquistata da quell’ansia di “portare Dio” a chi non lo conosce ancora.
Per obbedienza al padre però, attende di essere maggiorenne prima di chiedere l’ammissione all’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice ed emette la prima professione nel 1908 a Nizza Monferrato.
Durante la prima guerra mondiale suor Maria segue a Varazze corsi di assistenza sanitaria e lavora come infermiera crocerossina nell’ospedale militare dove assiste i feriti di ritorno dal fronte: una esperienza che le riuscirà quanto mai preziosa nel corso della sua lunga attività missionaria.
Scampata a un violento alluvione dopo aver invocato la Vergine Maria, decise di partire per le missioni.
Partita per l’Ecuador nel 1922, è mandata fra gli indigeni, si addentrò nella foresta amazzonica avendo come campo di missione la terra degli indios Shuar, I missionari si stabilirono definitivamente a Macas, un villaggio di coloni circondato dalle abitazioni degli Shuar. Con le due consorelle inizia un difficile lavoro di evangelizzazione con instancabili spostamenti nella selva in mezzo a rischi di ogni genere, non esclusi quelli causati dagli animali della foresta e dalle insidie dei vorticosi fiumi da attraversare. Suor Maria operava come chirurgo e infermiera ortopedico, dentista e anestesista… ma soprattutto paziente catechista ed evangelizzatrice, ricca di meravigliose risorse di fede e di amore fraterno con il dono totale di sé che culmina nella morte, in un tragico incidente aereo.
Grazie alla sua opera di promozione della donna Shuar nacquero centinaia di nuove famiglie cristiane, sorte per la prima volta per libera scelta dei giovani sposi.
Di fronte al riaccendersi del conflitto tra coloni e indios, suor Maria aveva presagito la sua fine imminente, da lei offerta a Dio quale sacrificio di riconciliazione tra i due popoli. Nella omelia, della Cerimonia di Beatificazione mons. Angelo Amato sottolinea come è stata messaggera di pace offrendo la sua vita perché si ricomponessero le divisioni tra i coloni e gli Shuar.
S. MARTINO DI TOURS, vescovo di Tours (Francia).
Sabaria (ora Szombathely, Ungheria), 316-317 – Candes (Indre- et- Loire, Francia) 397
Ricorrenza: 11 novembre
Destinato per nascita alla carriera militare, Martino era ancora catecumeno quando, giovane ufficiale, durante la ronda notturna incontrò un povero seminudo: Martino non aveva denaro, e condivise il suo mantello. Il povero gli riapparve in sogno la notte seguente e rivelò di essere Gesù. Dopo il battesimo, evangelizzò le campagne francesi vivendo vita eremitica: scelto come vescovo di Tours, cristianizzò la Francia, inaugurò l’uso delle visite pastorali, fondò a Marmoutier il primo centro di formazione per il clero.
Attributi: abito da ufficiale romano a cavallo, mentre taglia a metà con la spada il suo mantello per coprire un mendicante.
S. MATILDE DI GERMANIA, regina.
Engern (Sassonia) 895 circa – Quedlinburgo (Sassonia) 968
Ricorrenza: 14 marzo
I genitori cristiani, affidarono Matilde alla badessa di Erfurt, sua nonna, non per diventare monaca, ma perché la educasse all’amore e al desiderio delle virtù cristiane.
Nel 913 sposò il principe Arrigo che divenne imperatore. La modestia e l’umiltà di Matilde, colpivano chiunque la conoscesse: sovente visitava gli ammalati e i poveri nel cuore della notte e passava ore ed ore in chiesa in unione con Dio, nella preghiera e nella contemplazione.
Nel 936 morì il marito e lei non era favorevole al primogenito Ottone come successore. Si arrivò ad un conflitto tra i figli, però dopo l’incoronazione imperiale di Ottone a Roma (962) la famiglia si riconciliò. Attorno agli anni 938-941 i figli, concordi, allontanano la madre perché spendeva troppo per le chiese e per poveri e malati. La obbligarono a rinunciare ai propri beni e la rinchiusero in un monastero. Dal 946 fino alla morte recuperò tutta la sua autorità e influenza prodigandosi nella fondazione di ospedali, monasteri maschili e abbazie femminili. In seguito si trasferì a Quedlimburgo dove morirà.
Raffigurata con corona, globo, scettro, borsa di denaro e modellino di chiesa.
Patrona delle ricamatrici.
BEATO MOSÈ TOVINI, sacerdote diocesano.
Nato a Cividate Camuno (BS) nel 1887, Morto a Brescia nel 1930.
Ricorrenza: 9 giugno
Beatificato nel 2006 nella cattedrale di Brescia.
La salma è sepolta e venerata nella chiesa parrocchiale di Cividate Camuno.
Primo di otto fratelli, ebbe come Padrino di Battesimo lo zio, avvocato Giuseppe Tovini, Beato.
Riceve in famiglia la prima educazione cristiana, d’intelligenza precoce, a soli cinque anni con l’aiuto della mamma iniziò la scuola elementare.
All’età di nove anni prese a frequentare l’Istituto ginnasiale “Venerabile Luzzago” in Brescia. Nel 1889 Mosè fu affidato al Collegio San Defendente di Romano Lombardia per completare gli studi ginnasiali. Nel 1891 il collegio celebrò solennemente il terzo centenario della morte di San Luigi Gonzaga e fu affascinato dalla figura del santo tanto da ipotizzare la futura vocazione al sacerdozio. Abbandonò il liceo per rispondere alla vocazione sacerdotale, entrando in seminario. Concluso il liceo in seminario, data la giovane età i genitori di Mosè ottennero dal rettore che il figlio potesse conseguire la licenza presso una scuola pubblica.
Nel 1900, Mosè Tovini a soli ventidue anni, è ordinato sacerdote nella chiesa Cattedrale di Brescia. Il Vescovo lo destina agli studi a Roma, dove trascorse quattro anni, per perfezionarsi nello studio della matematica, filosofia e teologia. Nel luglio 1904 il Tovini conseguì finalmente ben più di una laurea: Matematica con diploma in Magistero, Filosofia e licenza in Teologia.
Tornato a Brescia nel 1904, fu professore in Seminario fino alla morte prima come professore e dal 1926 come rettore. La sua proposta educativa indicava ai seminaristi tre presenze irrinunciabili: l’Eucarestia, la Vergine Immacolata e il Papa. Il suo stile era fatto di puntualità, preparazione seria, chiarezza, discrezione, obbedienza assoluta alle direttive della Chiesa, del Papa e del Vescovo.
Il catechismo fu la passione di tutta la sua vita, tanto che già da giovane professore collaborò all’Opera Diocesana del Catechismo. Accanto all’insegnamento non mancò l’impegno pastorale: Provaglio d’Iseo, Torbole e l’Azione Cattolica ed ebbe incarichi di fiducia in Curia.
Nel 1905 Mosè Tovini entrò nella nuova Casa del Clero della Congregazione dei Sacerdoti Oblati.
La sua vita fu caratterizzata dall’umiltà e dalla mitezza.
S. OBIZIO DA NIARDO od Obizzo, eremita.
Nato a Niardo (BS), mori a Brescia, nel 1204/1206.
Canonizzato nel Giubileo del 1600.
Ricorrenza: 6 dicembre.
A Niardo viene festeggiato la prima domenica di maggio assieme a San Costanzo e al Beato Innocenzo da Berzo. Nelle solenni celebrazioni i Corazzieri di Sant’Obizio scortano l’urna delle reliquie per le vie del paese.
Nasce da una famiglia agiata. Il padre, conte del luogo Graziadeo, è governatore della Valcamonica.
Obizio non intraprende subito la carriera ecclesiastica ma
fu addestrato fin da fanciullo nell’arte bellica e partecipò giovanissimo alle battaglie tra i bresciani ed i cremonesi.
Ancora giovane, prende moglie, da cui avrà quattro figli.
Il 7 luglio 1191, partecipò alla battaglia di Rudiano sull’Oglio, si trova a combattere quella che sarà l’ultima battaglia della sua carriera militare. Durante un contrasto con i bergamaschi, finisce nel fiume e rimase intrappolato dalle travi di un ponte che era caduto sotto il peso dei soldati. dopo lunghe ore riuscì a farsi liberare da un passante, tratto a riva perde conoscenza ma ha una visione dell’inferno e le sue orribili pene. Dopo questa esperienza prese la decisione d’abbandonare le armi e dedicarsi ad una vita religiosa di penitenza e d’orazione. Cavaliere e guerriero preferì la vita eremitica. Inizialmente, questo proposito è ostacolato dalla moglie e dai figli che tentano, in tutti i modi, di distoglierlo da questa decisione, Obizio, però, è irremovibile. Anzi, inizia un’opera di convincimento perché i suoi familiari lo comprendano e lo imitino. Le sue preghiere, tramutano la moglie e i figli da ostili a sostenitori. Addirittura, i suoi due ultimi figli, diverranno religiosi.
Obizio dovrà attendere ancora parecchi anni prima di potersi consacrare interamente a Dio; anni trascorsi in completa povertà, dedicandosi ad innumerevoli opere di bene. Passò ogni bene alla sposa, distribuì i suoi averi ai più bisognosi e si dedicò completamente a Dio.
Fece lunghi pellegrinaggi in tutta l’alta Italia. Nel 1197, ottenuti i consensi necessari, è ammesso come oblato nel monastero di Santa Giulia a Brescia. Dopo sei anni di vita penitente in questo luogo morì sulla nuda terra e fu sepolto nel chiostro del convento di Santa Giulia.
Tra il 1526 ed il 1528 il Romanino dipinse le storie della sua vita nella chiesa di San Salvatore a Brescia, all’interno e all’esterno della cappella a lui dedicata.
Quando il monastero di Santa Giulia venne soppresso nel 1797 la comunità di Niardo reclamò le reliquie del suo santo, le quali sono ora custodite nell’altare della parrocchiale.
Patrono di Niardo (BS)
S. OMOBONO DI CREMONA
Cremona XII Sec. – muore a Cremona nel 1197
Ricorrenza 13 novembre
Omobono Tucenghi fu commerciante di stoffe stimatissimo in città. Era abile negli affari e ricco. Oltretutto viveva solo con la moglie, senza figli. Ma il denaro, nella sua concezione della ricchezza, vista non fine a se stessa era per i poveri. La sua azione lo portò ad essere un testimone autorevole in tempi di conflitto tra Comuni e Impero (Cremona era con l’imperatore). Quando morì d’improvviso, il 13 novembre del 1197, durante la Messa, subito si diffuse la fama di santità. Innocenzo III lo elevò agli altari già due anni dopo. Riposa nel duomo di Cremona.
Quando morì, presto si diffusero notizie di miracoli da lui compiuti. Altrettanto rapidamente iniziarono pellegrinaggi alla sua tomba, che convinsero addirittura il vescovo Sicardo e una rappresentanza cittadina a rivolgersi a papa Innocenzo III (questa venne interrogata dal pontefice in persona), che canonizzò Omobono già il 13 gennaio 1199 con la bolla Quia pietas, nella quale lo definì “pacificus vir”, a meno di due anni dalla morte.
Sembra che Omobono sia stato il primo laico italiano della storia ad essere canonizzato da un papa.
Patronato: Cremona, Mercanti, Lavoratori tessili, Sarti.
S. ORSOLA, martire. Laica.
IV o V SEC. – Colonia (Germania)
Ricorrenza: 21 ottobre
La leggenda narra che la Santa e le compagne vissero probabilmente nel IV secolo. La collocazione nella storia della santa può oscillare dai tempi di Diocleziano nel 303-304, a quelli di Attila (395-453).
Si racconta che Orsola, figlia di un Re Bretone, nonostante fosse segretamente consacrata a Dio, accettò, per non deludere il volere paterno, di sposare il figlio di un Re pagano con la promessa che si sarebbe convertito alla Fede cristiana. Ella partì con alcune vergini per raggiungere lo sposo, ma nel viaggio incontrò gli Unni di Attila, ciò provocò il suo martirio e quello delle 11 compagne. Ella fu trafitta da una freccia perché non aveva voluto sposare Attila.
Questa leggenda ha una base storica poiché è stata ritrovata un’iscrizione presso una Chiesa di Colonia.
Il culto di sant’Orsola si diffuse rapidamente, soprattutto nel Medioevo. Sul luogo che commemora il martirio di Sant’Orsola e delle compagne fu costruita una Basilica.
Colonia la ricorda come propria compatrona, ma anche Mantova ha costruito in suo onore una Chiesa.
A Sant’Orsola si ispirò Sant’Angela Merici che istituì una nuova Congregazione religiosa, detta delle Orsoline, appunto perché la fondatrice propose S. Orsola come modello e patrona delle sue figlie, per il difficile e sublime compito dell’educazione della gioventù femminile. Come infatti S. Orsola seppe guidare alla vittoria quella schiera eletta di sante vergini, così protegge ora l’odierna gioventù femminile, attorniata da mille pericoli, facendola strumento di bene nella famiglia e nella società. Fra il 1200 e il 1500 si diffusero alcune confraternite chiamate “navicelle di Sant’Orsola” fra le quali il primo nucleo di quella che poi divenne la Misericordia di Pisa.
Nutrita l’iconografia riguardante Sant’Orsola fra cui spicca “Il martirio di Sant’Orsola” di Caravaggio, ultima opera del Merisi, conservata a Palazzo Zevallos a Napoli.
Emblema: Donna sotto un mantello, Palma.
Patrona e protettrice delle ragazze, delle scolari, delle università, degli educatori, dei bambini malati e dei mercanti.
S. PAOLO, (Saulo) di Tarso, martire.
Nacque probabilmente verso il 5-10 d.C. a Tarso nella Cilicia, oggi Turchia meridionale
Decapitato, tradizionalmente un 29 giugno a Roma di un anno imprecisato, 64/67
Ricorrenza: 29 giugno
Nato da famiglia ebraica quale figlio di farisei zelanti della legge, Saulo, come si chiamava prima di assumere il nome di Paolo, studiò a Gerusalemme. Sebbene coetaneo, non conobbe direttamente Gesù. Avversava i cristiani, tanto da arrivare a perseguitarli direttamente. Si convertì al cristianesimo per volere di Dio: mentre si recava a Damasco fu avvolto da una luce fortissima e udì la voce del Signore, che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Reso cieco, fu poi guarito dal capo della piccola comunità cristiana di quella città. L’episodio, noto come “Conversione di Paolo”, diede inizio alla sua opera di evangelizzazione, ch’egli rivolse inizialmente agli Ebrei. In seguito si dedicò alla predicazione fra gli abitanti della Grecia e dell’Asia Minore. Fu il più grande missionario di tutti i tempi, ovvero il principale (non il primo).
Missionario del Vangelo tra i pagani greci e romani fu definito l’avvocato dei pagani. Insieme a Pietro fa risuonare il messaggio evangelico nel mondo mediterraneo. Paolo fu il fondatore della Teologia Cristiana, infatti, mentre i vangeli si occuparono prevalentemente di narrare le parole e le opere di Gesù, le lettere Paoline definiscono i fondamenti dottrinali del valore salvifico della sua Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione.
Morì a Roma sotto Nerone, decapitato con la spada e sepolto sulla via Ostiense.
Paolo e Pietro patirono nello stesso anno e nello stesso giorno il martirio e il 29 giugno si celebra l’anniversario di entrambi.
Emblema: spada
S. PIER DAMIANI, Cardinale, Teologo e Dottore della Chiesa.
Ravenna, 1006 o 1007 – Faenza, 1072.
Ricorrenza: 21 febbraio
Venerato subito come santo, ebbe riconosciuto il suo culto ufficialmente da papa Leone XII nel 1828 che lo proclamò anche dottore della Chiesa per i suoi numerosi scritti di contenuto teologico.
Fu un grande riformatore e moralizzatore della Chiesa del suo tempo, autore d’importanti scritti liturgici, teologici e morali.
Entrato nell’eremo di Fonte Avellana, promosse con forza il ripristino delle regole di disciplina delle congregazioni religiose e del clero e, in tempi difficili, richiamò con fermezza i monaci alla santità della contemplazione, i chierici all’integrità di vita, il popolo alla comunione con la Sede Apostolica.
Nel 1057 il Papa lo chiamò a Roma per averlo accanto in un momento di crisi della Chiesa, dilaniata da discordie e scismi e alle prese con la piaga della simonia. Nominato vescovo di Ostia e poi cardinale, aiutò i sei Papi che si succedettero a svolgere un’opera moralizzatrice.
Emblema: bastone pastorale
S. PIETRO (si chiamava Simone), apostolo e primo pontefice
Bethsaida (Galilea) – Roma, 64- 67 d.C.
Ricorrenza: 29 giugno
Simone, figlio di Giona e fratello di Andrea, professò, primo tra i discepoli, che Gesù era il Cristo, Figlio del Dio vivente,Gesù gli cambiò il nome in Pietro dicendogli: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, Pietro è l’apostolo scelto a fondamento della Chiesa (primo Papa) e investito, da Gesù Cristo stesso, Pastore del gregge santo (Gv.21,15-17) e confermatore dei fratelli (Lc 22,32). Nella sua persona e nei suoi successori, Pietro è il segno visibile dell’unità e della comunione nella fede e nella carità.
Gesù dice a Pietro che gli darà le chiavi del Regno dei Cieli: (Mt.16,13-19) in base a questo, la tradizione immagina S. Pietro come custode dell’entrata del Paradiso.
Simone professò, primo tra i discepoli, che Gesù è il Cristo, Figlio del Dio vivente.
Pietro morì martire, durante la persecuzione anticristiana di Nerone, come dice la tradizione, crocefisso a testa in giù. È sepolto in Vaticano presso la via Trionfale.
Sigillò con il martirio la testimonianza al Maestro, nella fede e nell’amore di Gesù Cristo, annunciando il Vangelo nella città di Roma.
Patrono di Roma, di pescatori, fabbri e mietitori.
Emblema: le chiavi del Regno di Dio o del Paradiso, croce rovesciata, rete da pescatore.
S. PIETRO CANISIO (Pietro Kanijs, Canisio, nella forma latinizzata) dottore in filosofia.
Nacque nel 1521 a Nimega, città principale della Gheldria appartenente allora all’impero germanico – mori a Friburgo, Svizzera, 1597.
Ricorrenza: 21 dicembre
Proclamato Dottore della Chiesa nel 1925 da Papa Pio XI.
Pietro Canisio era figlio del Borgomastro di Nimega, ha perciò la possibilità di studiare diritto canonico a Lovanio (Belgio) e diritto civile a Colonia (Germania). In questa città ama trascorrere il tempo libero nel monastero dei certosini. Compiuta la pia pratica a Magonza entra nella Compagnia di Gesù. Nel 1543, Canisio divenne l’ottavo membro e il primo tedesco dell’ordine dei gesuiti fondato pochi anni prima.
Partecipa a importanti negoziati, in qualità di rappresentante ufficiale della Chiesa. Nel 1547 Prende parte attiva al concilio di Trento, come teologo del cardinale Truchsess e consigliere del papa.
Sant’Ignazio lo chiama in Italia, mandandolo dapprima in Sicilia, poi a Bologna, per rimandarlo quindi in Germania, dove resta per trent’anni, in qualità di Superiore provinciale.
Nei paesi germanici crea una rete di comunità gesuite, in special modo collegi, si adoperò strenuamente per molti anni nel difendere e rafforzare la fede cattolica esercitando un influsso decisivo nella Controriforma in Germania, con la piena fiducia sia dell’imperatore Ferdinando I° che di papa Gregorio XIII, favorendo una parziale diffusione del cattolicesimo nel paese a maggioranza protestante.
Pio V° gli offrì il cardinalato, ma Pietro Canisio lo pregò di lasciarlo al suo umile servizio della comunità.
Monumenti preziosi del Canisio sono i molteplici suoi scritti, edizioni di opere dei Padri della Chiesa, libri di devozione e agiografici; I suoi scritti più importanti sono i tre “Catechismi” composti tra il 1555 e il 1558, opera latina che godette dell’universale ammirazione e presto si divulgò e fu adottata in tutto il mondo cattolico. In essa sono esposte in forma facile e chiara le prime verità cristiane. Il primo era destinato agli studenti in grado di comprendere nozioni elementari di teologia; il secondo ai ragazzi del popolo; il terzo ai ragazzi di scuole medie e superiori.
Solo nel tempo della sua vita sono state stampate ben 200 edizioni e centinaia di edizioni si sono succedute fino al Novecento.
S. PIETRO CRISOLOGO, vescovo di Ravenna.
Nato a Imola, ca. 380 – morì a Imola fra il 448 e il 450.
Ricorrenza: 30 luglio
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Benedetto XIII nel 1729.
Rare e imprecise sono le antiche testimonianze relative a questo Dottore della Chiesa.
Nacque da agiata famiglia di Imola e fu battezzato ed educato dal vescovo S. Cornelio, che poi lo avviò a studi letterari e giuridici a Ravenna e Bologna. Ordinato diacono sempre da Cornelio, lo affiancò durante il suo episcopato. Nella sua vita c’è un momento ovviamente importantissimo per lui: quello della consacrazione a vescovo di Ravenna, intorno al 433. Ma è importante pure tutto ciò che circonda l’evento. Innanzitutto c’è il papa in persona a consacrarlo: Sisto III, cioè l’uomo della pace religiosa dopo dissidi scontri e iniziative scismatiche. Quando Pietro tiene il suo primo discorso da vescovo, ad ascoltarlo col papa c’è anche Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, sorella dell’imperatore Onorio e ora madre e tutrice dell’imperatore Valentiniano III. E poi c’è Ravenna, intorno al vescovo, Ravenna, che ora è la capitale dell’impero romano d’Occidente. In questa capitale e in questo clima governa la sua Chiesa facendosi conoscere per la sua santità. La sua pietà e il suo zelo gli fecero guadagnare l’ammirazione dei fedeli e, grazie alla sua arte oratoria e alla sua eloquenza pastorale, fu soprannominato “Crisologo” che significa «dalle parole d’oro». Ma fu ancora più grande come scrittore tanto da essere proclamato Dottore della Chiesa. La sua identità di uomo e di vescovo viene fuori chiaramente dai suoi documenti, circa 180 sermoni, che ci sono pervenuti. E’ lì che troviamo veramente lui, con una cultura apprezzabile in quei tempi, e soprattutto col suo calore umano e con lo schietto vigore della sua fede. I più celebri sono quelli contro le calende di gennaio in cui non si stanca di ripetere che «non potrà godere con Cristo in cielo chi vuol godere col diavolo in terra».
Emblema: Bastone pastorale.
S. PIO DA PIETRELCINA, sacerdote cappuccino.
Nato a Pietrelcina (BN) 1887 – morì a San Giovanni Rotondo (FG) 1968.
Ricorrenza: 23 settembre
Proclamato Santo da Papa Giovanni Paolo II, nel 2002.
Già a cinque anni promette di consacrarsi al Signore; vuole diventare «frate con la barba», come il cappuccino questuante che vede in paese. La madre, che era molto devota a S. Francesco d’Assisi, ha una grande influenza sulla formazione religiosa del figlio, che comincia sin da piccolo a far penitenza, a difendersi dagli attacchi del demonio, a provare estasi ed apparizioni celestiali.
Francesco a sedici anni, entra in convento e pronuncia i voti solenni l’anno seguente. Da francescano dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini prende il nome di fra Pio da Pietrelcina. Diventa sacerdote sette anni dopo, nel 1910, e può celebrare messa, a differenza di un frate ordinario. Nel 1916 i superiori pensano di trasferirlo a San Giovanni Rotondo, sul Gargano, e qui, nel convento di S. Maria delle Grazie, ha inizio per Padre Pio una straordinaria avventura di taumaturgo e apostolo del confessionale. Si impegnò molto nella direzione spirituale dei fedeli e nella riconciliazione dei penitenti ed ebbe tanta provvidente cura verso i bisognosi e i poveri.
Tra il 5 e il 7 agosto 1918 vive il fenomeno mistico della trasverberazione: un «personaggio celeste» gli scaglia «con tutta violenza, nell’anima», «una lunghissima lamina di ferro con una punta bene affilata» e infuocata. Il 20 settembre il misterioso personaggio riappare, ma con «le mani ed i piedi ed il costato che grondavano sangue». Al termine della visione anche le sue mani, i suoi piedi e il suo «costato erano traforati e grondavano sangue». Le stimmate della Passione di Cristo resteranno aperte, dolorose e sanguinanti per ben cinquant’anni.
Tra i tanti doni di cui era dotato, padre Pio ebbe anche quello di prevedere il tempo della sua morte. Un giorno, ed eravamo nel 1918, quando aveva appena ricevute le stimmate, disse a uno che frequentava il convento: «Coraggio: abbiamo ancora cinquant’anni davanti».
È stato destinatario, ancora in vita, di una venerazione popolare di imponenti proporzioni. La voce della comparsa delle stimmate poi, fa il giro del mondo e San Giovanni Rotondo diviene meta di pellegrinaggio da parte di molti che sperano di ottenere miracoli. È stato anche oggetto di aspre critiche in ambienti ecclesiastici e medico-scientifici. La situazione diviene imbarazzante per la Santa Sede: Si commissionano indagini e visite da parte di medici di fama per verificare che non si tratti di un millantatore. Dal 1931 al 1933 il Sant’Uffizio gli toglie ogni facoltà propria del ministero sacerdotale ad eccezione della Messa che il Padre può solo celebrare in privato. Decaduti i divieti il santo Frate torna alla vita di sempre: la santa Messa al mattino, poi in confessionale fino a 16 ore al giorno.
Alla fine la verità sulla sua santità ha avuto il sopravvento.
Nel 1940 Padre Pio concepisce l’idea di fondare la “Casa Sollievo della Sofferenza” che sarà inaugurata nel 1956.
All’inizio di aprile del 1948, tra i pellegrini che giungono a San Giovanni Rotondo c’è un giovane sacerdote polacco che si confessa da Padre Pio. Il suo nome è Karol Wojtyla (futuro papa Giovanni Paolo II).
Il 23 settembre 1968 Padre Pio muore pronunciando ripetutamente i nomi di Gesù e Maria. Durante il controllo ispettivo sul corpo del Cappuccino, appena spirato, si scopre che le stimmate sono scomparse senza lasciare traccia. Non servono più. La sua missione di sacerdote e vittima è finita.
Patrono di: Volontari di protezione civile, adolescenti cattolici.
S. RITA DA CASCIA, vedova e monaca agostiniana.
Roccaporena, presso Cascia, Perugia, c. 1381 – Cascia, Perugia, 1447/1457
Ricorrenza: 22 maggio
Proclamata Santa da Papa Leone XIII il 24 maggio 1900.
Il suo corpo si venera nel santuario di Cascia, meta di continui pellegrinaggi.
Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, figlia unica, sotto la vigile cura dei genitori diedero a Rita una buona educazione, insegnandole a scrivere e leggere, cresceva giudiziosa e pia, con particolar tendenza alla solitudine ed alla preghiera. Coltivava fin da giovane il sogno di consacrarsi a Dio, ma per obbedienza ai genitori, sposò un giovane di buona volontà ma di carattere violento da cui ebbe due figli. Armata di pazienza sopportò con amore i suoi maltrattamenti senza mai lamentarsi, ne addolcì il cuore riconciliandolo infine con Dio. La loro unione venne interrotta dopo 18 anni quando il marito venne assassinato. Ella, capace di una sconfinata pietà, coerente con il Vangelo di Dio, anziché pensare alla vendetta, invocava il perdono per chi le stava procurando tanto dolore e non solo: ma cercava di istillare nei suoi figli l’eroismo del perdono cristiano. Scorgendo che crescevano tuttavia bramosi della vendetta allora Rita arrivò a pregare Dio per la morte dei figli, piuttosto che saperli macchiati del sangue fraterno: entrambi morirono di malattia in giovane età, Dio l’esaudì.
Morti i figli, Rita ebbe molto a soffrire per l’odio dei parenti, che convinse, dopo contrasti e grazie a prodigi, a non vendicarsi.
Vedova e sola, in pace con tutti, decise di seguire il desiderio giovanile entrando nel monastero dell’Ordine di Sant’Agostino a Cascia. Visse per quarant’anni anni nell’umiltà, nella carità, nella preghiera e nella penitenza e la passione di Gesù era la sua meditazione prediletta.
Nel Monastero rimase fino alla sua morte all’età di 76 anni e si dice che abbia compiuto almeno altri 5 prodigi prima di morire: un giorno, mentre pregava con più intenso fervore, davanti a un crocifisso, avendo chiesto al Signore di partecipare alle sofferenze della Passione, un raggio di luce partì dal Crocifisso, si rifletté sul capo di Rita, poi una spina si staccò dalla corona di Gesù e venne a trafiggere la sua fronte arrecandole atroci dolori, produsse una profonda ferita seguita da un’insanabile piaga, come segno della sua profonda unione con Gesù crocifisso. Piaga che rimase, per quindici anni, fino alla morte, che oltre ad acuti dolori esalava un grande fetore, per cui Ella per non infastidire le sorelle amava restare solitaria e conversare con Dio.
I segni della ferita sono tuttora visibili, come è stato riscontrato nelle ricognizioni del corpo avvenute nel corso dei secoli, l’ultima nel 1972.
Costretta a letto e prossima alla morte, ricevendo la visita di una parente le chiese una rosa dall’orto. La visitatrice obiettò che si era in pieno inverno, il gelo e la neve erano abbondanti, ma Rita insistette. Credette che scherzasse: però, rientrata a casa la parente, con grande stupore, trovò una bella rosa, era un regalo del suo Gesù, che colse portandola alla santa la quale la consegnò alle consorelle.
Vicina a morire udì Gesù e la sua santa Madre che la invitavano alla celeste dimora.
Rita da Cascia è considerata la Santa degli impossibili perché si ricorre alla sua intercessione nei casi che sembrano disperati.
Attributi: veste agostiniana, spina in fronte crocifisso.
S. ROBERTO BELLARMINO, vescovo teologo e scrittore.
Roberto Francesco Romolo Bellarmino apparteneva all’Ordine dei Gesuiti.
Montepulciano 1542 – Roma, nel 1621.
Ricorrenza: 17 settembre
La causa di beatificazione, iniziata un anno dopo la sua morte, si concluse solo sotto Papa Pio XI, con la triplice glorificazione di Beato, di Santo e nel 1931 di Dottore della Chiesa.
Nacque in una numerosa famiglia di origini nobili. Sua madre, Cinzia Cervini, molto pia e religiosa, era sorella del papa Marcello II°.
Fu educato nel collegio gesuita della sua città natale. Dal 1560 al 1563 studiò nel Collegio Romano, sede della scuola gesuita. Successivamente a Firenze e poi a Mondovì. Nel 1567 intraprese lo studio della teologia, a Padova e poi nel 1569 fu inviato a completare questi studi a Lovanio nelle Fiandre (Belgio) dove poté acquisire una notevole conoscenza delle eresie più importanti del suo tempo; là nel 1570 fu ordinato sacerdote.
Fin da giovanissimo mostrò le sue ottime doti letterarie compose diversi piccoli poemi. Uno dei suoi inni dedicato alla figura di Maria Maddalena fu inserito poi per l’uso nel breviario. Come scrittore: Scrisse molte opere tra le quali spiccano: le «Controversie», «Le ascensioni spirituali della mente in Dio», l’«Arte del ben morire» e il «Catechismo».
Con l’opera il «Catechismo» semplice nella struttura ma ricca di sapienza, fu “maestro” di tante generazioni di fanciulli. Papa Gregorio XIII nell’istituire una cattedra per difendere, dagli assalti degli avversari, le verità della fede, scelse Roberto che, per la sua monumentale opera le “Controversie”, fu detto il Martello degli eretici.
Nominato cardinale, di Capua, si dedicò con premura al ministero pastorale ove fu prodigo di cure e carità specialmente ai poveri. Infine, a Roma, come consigliere di papa Paolo V, intervenne nelle controversie teologiche del suo tempo con perizia e acume, in difesa della Sede Apostolica e della dottrina della fede.
Emblema: bastone pastorale.
S. ROSA VENERINI, vergine. Laica.
Fondatrice della congregazione delle Maestre Pie Venerini.
(Viterbo 1656 – Roma 1728)
Ricorrenza: 7 maggio
Proclamata santa da Papa Benedetto XVI nel 2006.
Rosa nasce da una famiglia benestante, il padre era medico. La piccola Rosa ricevette sin dall’infanzia un’ottima educazione religiosa dalla madre e dalla zia materna Anna Cecilia, madre superiora nel convento di Santa Caterina a Viterbo.
Da giovane ebbe difficoltà ad individuare la sua vocazione. Né il matrimonio, né la vita religiosa sembravano adatte a lei. Cercò allora una via nuova: con due concittadine aprì, per prima in Italia, nel 1685 a Viterbo una scuola pubblica che si riprometteva di istruire le giovani e nello stesso tempo di trasmettere un’educazione religiosa alle giovani più povere, da qui ebbe origine la sua congregazione.
Si impegnò con coraggio «a favore dell’elevazione spirituale e dell’autentica emancipazione delle giovani donne del suo tempo» (Benedetto XVI).
Seguirono nel giro di pochi anni una decina di scuole nelle diocesi confinanti. Molte furono le resistenze nei confronti di queste donne che sembravano sospese tra vita religiosa e vita laicale. Rosa, tuttavia, vicina alla spiritualità dell’ordine gesuita, proseguiva con tenacia nel suo impegno perché si sentiva talmente «inchiodata alla volontà di Dio che non mi importa né morte né vita». In questo spirito sopportò anche la separazione da santa Lucia Filippini che, dapprima sua compagna, sembrò poi mettersi in concorrenza con lei.
Dopo aver operato nel nord del Lazio, la Venerini impiantò il suo istituto anche a Roma e dintorni.
Patrona di Viterbo.
S. ROSALIA VERGINE, Eremita.
Rosalia Sinibaldi nata a Palermo 1130 circa.
Morì come indicato nella lapide fuori dal Santuario di Montepellegrino nel 1160, ma da ricerche più recenti, sembra essere morta intorno al 1170.
Ricorrenza: 4 settembre.
Proclamata Santa nel 1630 sotto il pontificato da Urbano VIII.
Rosalia nasce dalla nobile famiglia dei Sinibaldi.
Nel 1128 durante un tramonto una figura celeste apparve ai nobili del casato dei Sinibaldi rivelando la nascita di “una rosa senza spine”. Per questo motivo pare che, poco tempo dopo, quando nacque, la bambina venne chiamata Rosalia.
La piccola Rosalia nacque da Maria Guiscardi e dal conte, crebbe cortese e regale in quel felice periodo di rinnovamento cristiano-cattolico che i re Normanni ristabilirono in Sicilia, dopo aver scacciato gli Arabi che se n’erano impadroniti dall’827 al 1072; favorendo il diffondersi di monasteri Basiliani e Benedettini.
In quest’atmosfera di fervore e rinnovamento religioso, s’inserì la vocazione eremitica della giovane.
Al seguito di una visione del Cristo, lasciò la vita di corte del re Ruggero, rinunciò alle nozze con il conte Baldovino e si ritirò in preghiera prima in una grotta nelle montagne di Bivona, poi nei pressi del monte Pellegrino. Qui nei dintorni, i Benedettini avevano un convento e poterono seguire ed essere testimoni della vita eremitica e contemplativa di Rosalia che, visse in preghiera, solitudine e mortificazioni; cercò Dio in remoti anfratti di rocce protette dai monti, dove, secondo la tradizione, visse di ascetismo fino alla fine. L’eremitismo di Rosalia fu un’alta espressione di spiritualità e molti palermitani, salivano il monte attratti dalla sua fama di santità.
Nel 1624 una tragica epidemia di peste invase Palermo, Rosalia apparve in sogno ad una malata, e poi ad un cacciatore, indicando il luogo dei suoi resti mortali da portare in processione per liberare la città come volere della Vergine Madre. Così fu fatto: e dove quei resti passavano i malati guarivano e in pochi giorni furono immuni. Da allora, la processione si ripete ogni anno, con gioia e devozione dall’intera Palermo, dedicandole “u fistinu” (il festino) che si celebra dall’10 al 15 luglio. La notte tra il 14 e il 15 luglio viene celebrato il culto della Santa Patrona della città di Palermo, con un carro trionfale, introdotto nel 1686, e un corteo storico in costumi seicenteschi.
BEATA STEFANA QUINZANI, vergine, suora domenicana.
Nata a Orzinuovi nel 1457 – Morta a Soncino (CR) nel 1530.
Ricorrenza: 16 giugno, per le diocesi di Brescia e Crema. L’Ordine Domenicano la ricorda il 2 gennaio.
Il culto fu confermato da papa Benedetto XIV° nel 1740.
Le sue reliquie, nel 1988, sono state riportate a Soncino, e conservate nella chiesa dei domenicani dedicata a S. Giacomo.
Nata da una famiglia di agricoltori, visse aiutandoli nel lavoro dei campi. Ben presto la sua famiglia si stabilì in Soncino al servizio del convento domenicano di S. Giacomo.
Entrò a quindici anni nel Terz’Ordine Secolare sospinta dalla sete di perfezione indirizzata sin da bambina alla devozione per la passione di Cristo.
La vita spirituale della beata Stefana, dominata dalla contemplazione del Cristo sofferente, s’inserisce nella più genuina tradizione domenicana. Questa divorante passione si manifestò nella Beata con fenomeni straordinari.
La Stefana era nota come visionaria e profetessa a causa delle estasi sulla passione che si ripetevano. Infatti per quarant’anni, ogni venerdì, riviveva tutti i dolori e i tormenti della intera Passione di Gesù e portò impresse sul proprio corpo le sacre Stimmate. Il teologo domenicano Domenico Pirri, inquisitore di Mantova, confermò l’autenticità delle stigmate.
Nei primi del 1500 a Soncino, fondò e resse fino alla morte un fiorente monastero di Terziarie Domenicane dedite all’educazione delle giovani. Si dedicò con generosità ad un intenso apostolato al servizio dei poveri, della pace e alla formazione cristiana delle fanciulle. Promosse il rinnovamento e l’impegno nella vita cristiana attraverso un ampio cerchio di amicizie, anche con i potenti del suo tempo. Spinta fin da bambina ad amare Dio sopra ogni cosa, arrivò all’intuizione dell’amore sponsale con Gesù, attraverso grandi esperienze mistiche.
Mori santamente, nel monastero da lei edificato e guidato per anni, pronunziando le parole di Gesù sulla croce: “In manus tuas Domine, commendo spiritum meum!”.
S. STEFANO I° D’UNGHERIA, RE (laico)
Esztergom, Ungheria, ca. 969 – Budapest, Ungheria, 1038
Alla nascita ebbe il nome di Vajk.
Ricorrenza: 16 agosto
Poco dopo la sua morte, iniziarono le segnalazioni di miracoli di guarigione che sarebbero accaduti nei pressi della sua tomba. Stefano venne canonizzato da papa Gregorio VII nel 1083 come santo Stefano d’Ungheria
Fu il primo re ad essere canonizzato come santo.
Figlio del capotribù magiaro Géza ancora essenzialmente pagano, da bambino ricevette una profonda educazione cristiana e all’età di 10 anni, gli venne imposto un nuovo nome cristiano, Stefano (in onore del protomartire santo Stefano, patrono della chiesa di Passavia).
Intorno al 995 sposò la principessa Gisella di Baviera, figlia di Enrico II e di Gisella di Borgogna, che lo sostenne nella sua opera e che alla sua morte si richiuse nel monastero benedettino di Passau.
Stefano e Gisella di Baviera ebbero almeno tre figli: due maschi, Imre (poi canonizzato come sant’Emerico) e Otto, e una femmina, Edvige. Stefano sopravvisse a tutti i suoi figli.
Ricevuta da papa Silvestro II la corona del regno d’Ungheria nella notte di Natale dell’anno mille con il titolo di “re apostolico”. Fu un re giusto e pacifico nel governare i sudditi ed è stato il primo re ungherese, fondatore dello Stato e della Chiesa ungherese. Organizzò non solo la vita politica del suo popolo, riunendo le 39 contee in unico regno, ma anche quella religiosa. Si adoperò per propagare la fede cristiana tra gli Ungheresi: riordinò la Chiesa nel suo regno, gettando le fondamenta di una solida cultura cristiana. Egli divise il territorio in diocesi, imponendo che ogni dieci villaggi fosse eretta una chiesa il cui parroco era mantenuto a spese dei villaggi medesimi e all’interno delle abbazie e dei monasteri trovarono sede le scuole. Le arricchì di beni, facendo generose offerte, fra cui la più famosa, l’abbazia benedettina di San Martino di Pannonhalma (oggi riconosciuta come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO).
Stefano contrastò le usanze pagane e favorì la diffusione del Cristianesimo con numerose leggi.
Stefano avrebbe voluto abdicare per ritirarsi ad una vita di contemplazione spirituale affidando il regno nelle mani dell’unico figlio ancora vivente, Imre, tuttavia nel 1031 questi venne ferito a morte in un incidente di caccia.
BEATO SEBASTIANO (Salvatico) MAGGI, sacerdote. La dedizione allo studio gli valse il titolo di maestro in sacra teologia.
Nato nel 1414 a Brescia – Morto a Genova nel 1496.
Ricorrenza: 16 dicembre mentre nella diocesi di Brescia è ricordato il 7 novembre.
In visita come Vicario Generale nel convento di Santa Maria di Castello (Genova), cadde ammalato e spirò. Le sue spoglie sono venerate in quella chiesa.
La fama di santità e la testimonianza di miracoli portarono all’istruzione del processo, coronato dall’approvazione del culto da parte di Clemente XIII° nel 1760.
Nacque dalla nobile e potente famiglia Maggi discendente da Federico, fratello di Berardo, vescovo di Brescia.
Nel 1429, quindicenne, Salvatico Maggi entrò nell’Ordine dei frati predicatori, nel convento di S. Domenico a Brescia e assunse il nome di fra Sebastiano.
Il Maggi, come sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, predicò il Vangelo e si occupò dell’osservanza della disciplina nei conventi. Intervenne in molte riforme e tentativi di riforma di conventi attuati nell’area lombarda.
Nel 1495, come superiore del convento di Firenze, fu nominato giudice, da Papa Alessandro VI, nel procedimento avviato contro G. Savonarola e dovette proibire la predicazione.
Fu chiamato a reggere vari conventi. Santa Maria delle Grazie a Milano, poi Brescia, Mantova, Verona, Piacenza e Bologna. Si distinse, come priore, per le sue capacità di governo e per gli sforzi di tener vivo lo spirito della riforma dell’Osservanza promossa da Santa Caterina da Siena e dal beato Raimondo da Capua.
Per due volte fu vicario Generale della Congregazione di Lombardia.
Durante il priorato del convento di San Domenico di Brescia (1450 54), quando la città fù flagellata dalla peste, ebbe modo di mostrare tutta la sua carità. Venne descritto come “uomo dotato di una dolce bontà, di mitezza e affabilità, retto, giusto e santo”. A Genova, ove in qualità di vicario generale era in visita al convento di Santa Maria di Castello, ebbe modo di conoscere santa Caterina Fieschi Adorno, per cui dai genovesi è ricordato come il «confessore» della Santa.
Fu confessore anche di Ludovico Sforza detto il Moro.
Nel 1797 i suoi resti mortali conservati incorrotti vennero traslati dall’antico a un nuovo altare di Santa Maria di Castello (Genova).
S. TERESA EUSTOCHIO VERZERI, vergine e fondatrice.
Nata a Bergamo nel 1801. Morta, nella casa di Sant’Afra in Brescia, nel 1852.
Ricorrenza: 3 marzo Per le diocesi di Bergamo e Brescia il 27 ottobre.
Proclamata Santa nel 2001 da Papa Giovanni Paolo II.
Il suo corpo è venerato nella cappella dell’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore a Bergamo. Primogenita dei sette figli di Antonio Verzeri e della contessa Elena Pedrocca-Grumelli, famiglia che viveva radicalmente la vita cristiana. Teresa di temperamento indipendente e intraprendente, ma soprattutto molto riflessiva, fa i primi studi in casa. Spinta da un inquieto desiderio di purificazione, mentre attendeva le lezioni dei maestri, cominciò a chiedere al direttore il permesso di fare delle mortificazioni e penitenze e offerse a Dio, con voto, il fiore della sua verginità. In famiglia continuò a condurre una regolare vita monastica, proponendo di rinnegarsi in tutte le cose, di combattere l’amor proprio e di ubbidire ai genitori.
Teresa con l’aiuto di Mons. Benaglio, nel 1818 entra nel monastero delle monache benedettine di S. Grata a Bergamo dove trascorse circa 14, lì visse una lunga e sofferta maturazione spirituale. Qui, insieme a Virginia Simoni, si occupò dell’attività educativa per le giovani educande. Lasciato il monastero, per dedicare la sua vita e il suo impegno nel mondo, l’8 febbraio 1831, insieme al canonico Benaglio, fonda la Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù. Saranno educatrici e guide delle ragazze povere, orfane e abbandonate. Realizzò nel giro di pochi decenni numerose iniziative di apostolato cristiano-sociale in favore dei bisognosi e degli esclusi. Convinta assertrice della necessità di svolgere un’azione educativa elaborò una linea pedagogica organizzata nel sistema del “metodo preventivo”, anteriore a quello di don Giovanni Bosco, è descritto nel Libro dei doveri: l’istruzione e la cultura non vengono considerati come ornamenti o accessori, ma piuttosto come “strumenti” necessari di liberazione e di progresso per l’individuo e in particolare per la donna.
Si affrancò con coraggio dalla vigilanza e dall’autorità che il potere ecclesiastico esercitava sugl’istituti di donne consacrate, avviando una politica di gestione di segno femminile: fu la prima fondatrice a richiedere la centralizzazione dei beni dell’istituto e la loro amministrazione diretta e la prima a ottenere il riconoscimento del ruolo di superiora generale, nonché la cancellazione dell’impossibilità per le donne di occupare questo ruolo sancita dalla costituzione apostolica (1749).
Morto il canonico Benaglio nel 1836, gravano su di lei le fatiche per la formazione delle religiose, per le costituzioni, per i rapporti con Roma.
La Congregazione nel frattempo, continuando la missione della Fondatrice, si estende in vari paesi del mondo.
S. TERESA DI GESÙ’ BAMBINO E DEL VOLTO SANTO (Thérèse Françoise Marie Martin), chiamata Teresa di Lisieux per distinguerla da Teresa d’Ávila, vergine.
Alençon (Francia), 1873 – Lisieux, 1897.
Ricorrenza: 1 ottobre
Proclamata Dottore della Chiesa da Giovanni Paolo II nel 1997.
Teresa nacque in un ambiente profondamente credente. Di recente anche i suoi genitori, Ludovico Martin e Maria Azelia Guérin, sono stati proclamati Santi.
Morta la madre, quando aveva soltanto quattro anni, viene accudita dalle sorelle maggiori, che una dopo l’altra entrano al Carmelo di Lisieux. Riesce infine ad entrare anch’essa, nello stesso convento, all’età di quindici anni, ma in monastero non trova l’isola di santità che s’aspettava. Teresa la fa nascere dentro di sé e in sé compie la riforma del monastero. Trasforma in stimoli di santificazione, maltrattamenti e storture, restituendo gioia in cambio delle offese, divenne, per purezza e semplicità di vita, maestra di santità. Su suggerimento della superiora tiene un diario. Scrive nel 1895: «Il 9 giugno, festa della Santissima Trinità, ho ricevuto la grazia di capire più che mai quanto Gesù desideri essere amato». All’amore di Dio Teresa risponde con tutte le sue forze, ma, l’anno successivo, si ammala di tubercolosi che la porterà alla morte all’età di 24 anni. La novità della sua spiritualità, chiamata anche teologia della “piccola via”, ha ispirato numerosi credenti. Teresa propone di ricercare la santità, non nelle grandi azioni, ma negli atti quotidiani anche i più insignificanti, a condizione di compierli per amore di Dio.
Sua sorella (suor Agnese nel Carmelo) le ha chiesto di raccontare le sue esperienze spirituali, che escono postume in un volume col titolo “Storia di un’anima” nel 1898 uno dei capolavori della spiritualità di tutti i tempi. L’impatto della pubblicazione è stato notevole e la voce di Teresa percorre la Francia e il mondo, colpisce gli intellettuali, suscita tenerezze popolari. Morta sconosciuta, poiché monaca di clausura, è celebrata e venerata a livello mondiale. In suo onore è stata edificata la Basilica di Lisieux, (secondo luogo di pellegrinaggio di Francia dopo Lourdes) ed e patrona di Francia assieme a Giovanna d’Arco e patrona delle missioni, anche se non si mosse mai dal suo convento.
Attributi: i fiori di giglio e rosa
S. TERESA DI GESÙ (d’Avila) (Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada).
Avila (Spagna), 1515 – Alba de Tormes (Spagna), 1582.
Ricorrenza: 15 ottobre
Proclamata Dottore della Chiesa da Papa Paolo VI nel 1970.
Entrata nell’Ordine Carmelitano d’Ávila a vent’anni, dopo un travagliato percorso interiore che la condusse a quella che definì in seguito la sua “conversione”, divenne una delle figure più importanti della Riforma cattolica e contribuì al rinnovamento dell’intera comunità ecclesiale.
Donna di eccezionali talenti di mente e di cuore, divenuta madre e maestra dell’Ordine Carmelitano, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di una ascesa per gradi dell’anima a Dio. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome e poté estendere la riforma anche al ramo maschile dei frati Carmelitani Scalzi. Fu autrice di diversi libri nei quali presenta la sua dottrina mistico- spirituale e i fondamenti e le origini del suo ideale di Riforma dell’Ordine carmelitano.
Emblema: Giglio
S. TOMMASO D’AQUINO, definito Doctor Angelicus dai suoi contemporanei.
Roccasecca, (FR), 1225 o 1226 – Fossanova (LT), 1274
Ricorrenza: 28 gennaio
Proclamato Dottore della Chiesa da Papa Pio V nel 1568.
Uno dei pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica, il pensatore più importante del Medioevo, trasmise agli altri, con discorsi e scritti, la sua straordinaria sapienza. La sua influenza è tuttora fondamentale nell’ambito della Chiesa cattolica.
Discendente da una nobile famiglia, a diciannove anni entrò a far parte dell’ordine dei domenicani. Allievo di Sant’Alberto Magno studiò a Parigi e a Colonia. Divenuto maestro di teologia a Parigi, v’insegnò fino al 1259, per poi trasferirsi in Italia, dove fu teologo della corte pontificia. A questo periodo appartengono le sue opere maggiori, fra cui la celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione.
Nel gennaio 1274, designato da Gregorio X, partiva per recarsi al Concilio Ecumenico di Lione ma durante il viaggio morì.
Emblema: abito domenicano, stella ,libro.
S. THOMAS MORE, italianizzato in Tommaso Moro, Martire.
Londra, 1478 – luglio 1535
Ricorrenza: 22 giugno
Nel 1935, è proclamato Santo da Papa Pio XI.
Tommaso More, padre di famiglia di vita integerrima, avvocato, scrittore, uomo politico e umanista. Compiuti gli studî letterari e giuridici a Oxford, fu membro del parlamento (1504); ricoprì poi varie cariche politiche e (1529) divenne cancelliere del regno, ma dovette dimettersi (1532) perché si oppose alla tendenza di Enrico VIII di porsi a capo supremo della Chiesa in Inghilterra e alla sua politica matrimoniale, e manifestò sempre apertamente la sua disapprovazione per il comportamento del re a proposito del suo divorzio da Caterina d’Aragona e del matrimonio con Anna Bolena. Così, quando il re impose il giuramento dell’atto di successione, che oltre il riconoscimento del divorzio da Caterina d’Aragona e del matrimonio di Anna Bolena comportava la proibizione di ubbidire al papa (1534). Tommaso More, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica, rifiutò e fu processato e condannato a morte insieme all’amico cardinale John Fisher. decapitato quindici giorni prima di Moro, anch’egli per aver rifiutato di disconoscere il Papato.
More ha coniato il termine «utopia», indicando un’immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, «L’Utopia», del 1516.
Quando, venne giustiziato, «Avanzò verso il ceppo, davanti al quale s’inginocchiò per la recita del Miserere. Poi si rialzò in piedi, e quando il boia gli si avvicinò per chiedergli perdono, lo baciò affettuosamente e gli mise in mano una moneta d’oro. Poi gli disse: “Tu mi rendi oggi il più grande servizio che un mortale mi possa rendere”.
Patronato: Avvocati, nel 2000 venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II.
Emblema: Palma
S. VALENTINO DI TERNI, vescovo di Terni, martire.
Terni 176 circa – Roma 273
Ricorrenza: 14 febbraio
Nato in una famiglia patrizia, fu convertito al cristianesimo e consacrato vescovo di Terni nel 197, a soli 21 anni. Primo vescovo di Terni, chiamato a Roma per la sua fama di taumaturgo, operò guarigioni miracolose e conversioni:
Era famoso per la santità, la carità, l’umiltà, lo zelante apostolato e per i miracoli che operava. Convocato dalle autorità romane, poiché la sua popolarità stava crescendo enormemente, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori città di notte, per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. San Valentino si rifiutò di sacrificare agli idoli, non abiurò la sua fede e fu quindi giustiziato e poi fù sepolto lungo la via Flaminia che conduce a Terni. Qui sorse una basilica a lui dedicata
Un documento dell’VIII secolo, Passio Sancti Valentini, narra alcuni particolari del martirio: fu torturato e infine decapitato.
La sua festa cade il 14 febbraio, tempo di amorosi risvegli: ma divenne patrono dei fidanzati e poi degli innamorati, perché il 14 febbraio si distribuiva a Roma una dote alle ragazze povere e nubili.
Patrono di Terni, di innamorati, amanti ed epilettici.
Attributi: abito sacerdotale o vescovile, palma del martirio.
S. VERONICA GIULIANI – vergine e una delle più grandi mistiche della storia.
Mercatello (Urbino) 1660 – Città di Castello 1727.
Ricorrenza: 9 luglio giorno della morte.
Proclamata Santa da Papa Gregorio XVI nel 1839.
È una grande mistica cristiana che ebbe a modello la spiritualità francescana, intesa come meditazione della passione di Cristo e offerta riparatoria per i peccati degli uomini.
Ultima di sette sorelle, tre delle quali monache, fu battezzata col nome di Orsola. La madre morì che lei aveva solo sette anni ma sul letto di morte la pose, insieme alle sorelle, sotto la protezione di Cristo sofferente, assegnando a ciascuna una piaga del crocifisso come rifugio e oggetto particolare di devozione. Ad Orsola toccò quella del S. Cuore. Sin da bambina si sforzò di essere ubbidiente, umile e devota e da sempre desiderò consacrarsi al Signore divenendo sua sposa. Tale rinuncia a sé stessa e al mondo insieme alla dedizione generosa al Signore ed ai poveri in suo nome, furono l’inizio di quella perfezione che la condusse alla santità.
A 17 anni, con la pazienza e le preghiere vinse l’ostinato suo padre che la voleva sposare a qualche nobile, ed entrò nel Monastero di stretta clausura delle Clarisse Cappuccine di Città di Castello (PG), cambiando il nome in Veronica per ricordare la Passione di Gesù.
Qui svolse diversi servizi a cominciare dai più umili fino a divenire maestra delle novizie e dal 1716 badessa, incarico nel quale sarà riconfermata fino alla morte.
Molte furono le grazie, i doni, le visioni, le estasi, i carismi che Dio le elargì. In modo misterioso, ma reale e visibile, sperimentò tutti i martiri e gli oltraggi della Passione. Nel 1694 ricevette nel capo l’impressione delle spine, che lasciò profonde ed acute trafitture. Dopo tre anni, dove si alimentò solo a pane e acqua, il Venerdì Santo del 1697 le apparve Gesù Crocifisso e le impresse le sacre stimmate per ciò veniva chiamata la “sposa del crocifisso”. Questi fenomeni furono severamente controllati dalle autorità competenti che cercarono di mortificarla oltre ogni modo. Ma la pace del cuore non abbandonò mai la santa che si rammaricava solo di non poter assistere alla santa messa e ricevere l’Eucaristia. Grazie alla sua virtù Veronica fu finalmente riconosciuta e stimata, tanto da venire eletta badessa.
Cessata la dura prova, Gesù però voleva partecipare, alla sua serva, altri dei suoi dolori. Tutti gli strumenti della passione del Signore furono impressi in modo sensibile nel cuore di Veronica.
Morì il 9 luglio 1727, dopo 33 giorni di malattia e cinquant’anni di vita claustrale.
Nulla sapremmo delle esperienze della santa se il suo direttore spirituale non le avesse ordinato di trascriverle in un diario, Il tesoro nascosto, pubblicato postumo; attraverso il quale si scopre come, proprio perché tutta dello Sposo Gesù, Veronica sia “per gli altri”, missionaria e riparatrice. Le mura della clausura non sono un impedimento: nella pratica del suo agire per gli altri, Veronica dimostra come il “cuore non tolleri clausure”.
Per la santa sono capitali: 1) il primato dell’amore infinito di Dio; 2) la realtà spaventosa dell’inferno alla quale molti oggi non credono più; 3) la dottrina dell’espiazione; 4) il ruolo indispensabile di Maria Santissima.
Il giorno dopo la morte di Veronica, il vescovo di Città di Castello, chiese ai medici di effettuare l’autopsia del cadavere e questi annotarono, così come descritti e disegnati da Veronica nel suo diario, di un cuore «trafitto da parte a parte», mentre sulle pareti dei ventricoli riscontrarono i segni della Passione: la croce, la lancia, le tenaglie, il martello, i chiodi, il flagello e la colonna della flagellazione.
Patrona di Città di Castello, la terra dove nacque.
Patronato: sportivi della scherma
Emblema: giglio